Quando si sollevava dal terreno la copertura in legno e dalla “tana”uscivano i giocatori, io cominciavo ad agitarmi, una sorta di riscaldamento personale,pronto a seguire l’andamento del gioco con stop e tiri che inesorabilmente andavano a concludersi contro la schiena dello sfortunato tifoso che soffriva nella panchina appena sotto quella nella quale mio padre mi teneva sulle sue ginocchia.Avevo sei anni il giorno in cui ho conosciuto per la prima volta il Filadelfia,tempio sacro del calcio mondiale e spazio surreale della dilatazione temporale di un Paese che ormai non c’era più e che piano piano si sarebbe trasformato in un terreno di gioco con valori e priorità diverse.
Sei anni, sessant’anni fa.Ma il rapporto “viscerale” con quella maglia e quel luogo era tragicamente nato molto prima,quando la nebbia e la collina di Superga ingoiarono l’aereo aprendo le porte alla leggenda. Ero nato da appena un mese e da allora il mio nutrimento si avvalse di un integratore naturale:il senso di appartenenza ad un’altra Torino dove i più deboli trovavano l’unità e la forza per affermare una differenza.E così è stato Il Filadelfia fino a quando è esistito,fino a quando il “burattinaio “non decise che fosse giunto il momento di abbattere il mito.Allora,per uno strano gioco del destino,il testimone dell’altra Torino, passo’ della mani di un quotidiano La Gazzetta del Popolo.
E quando la sua voce divenne troppo autorevole e ascoltata fu messa a tacere da una magistratura ossequiente. Da quel momento la storia della Città e’ scivolata così, tutta concentrata a risolvere i problemi della grande fabbrica, ad assecondarne i desideri, a caricarsi i pesi dei suoi errori.
Ed è significativo che proprio quando un mondo ostile si è dissolto emigrando in paesi lontani, improvvisamente tutti gli ostacoli buracratici, i timori del Coni, i dubbi del credito sportivo (addirittura il dimenticato Vidulich aveva cercato di ricostruirlo), le perplessità della Sala rossa consigliare, siano spariti. Oggi rinasce il “Fila”. La sua prima pietra sarà in realtà l’ultima di quelle abbattute da un mondo che per fortuna non c’è più. Non è una storia che comincia ma un cammino che riprende dopo una sosta sin troppo lunga.
E non è difficile immaginare, attorno a quella pietra, un girotondo di bambini di ogni paese che si tengono per mano pronti a scendere in campo nello sport e nella vita per costruire un nuovo mito. Dai che si riparte. Forza Toro, Forza Torino.