“Buongiorno a tutti. Leggerò alcuni nomi da lista. Le persone nominate da oggi non lavorano più per il ministero. Cominciamo: Adam Brown…”.
Storie di ordinaria amministrazione nell’amministrazione pubblica neozelandese. Dove il Governo taglia, e taglia duro e riesce a tagliare in fretta. Presa la decisione, stilata la lista dei nomi è una questione di pochi giorni. Convocata l’assemblea dell’ufficio il malcapitato che sentirà pronunciare il suo nome tornerà alla sua postazione di lavoro e troverà sulla scrivania una scatola per raccogliere gli effetti personali.
E’ successo a molti in questi quattro anni di Governo conservatore. In un Paese di soli 4,5 milioni di abitanti, dove gli impiegati pubblici assommano a 58mila, a 2.500 persone (pari al 4,5% della forza lavoro totale) è stata indicata la porta e altre 2.500 posizioni, lasciate vacanti da persone andate in pensione, non sono state riempite. Per il 2012 non è ancora finita: il primo ministro John Key ha appena creato un superministero che accorpa ben quattro agenzie (Sviluppo economico, Scienze ed Innovazione, Lavoro e Case sociali) e la mossa non si preannuncia indolore: si prevede che almeno 140 impiegati (su 3.200 attualmente occupati) perderanno il posto. L’operazione farà risparmiare immediatamente al Governo 11 milioni di dollari. Al nuovo ministero degli Affari, Innovazione e Lavoro, denominato Moby, passa l’incarico di trovare il modo di risparmiare 223 milioni di dollari nei prossimi quattro anni.
Nel frattempo, anche le Forze armate hanno dovuto subire una severa cura dimagrante: 685 persone hanno lasciato volontariamente il lavoro, mentre 297 sono state licenziate.
In un Paese in cui i dipendenti pubblici sono equiparati a quelli privati, il datore di lavoro può licenziare il dipendente se ritiene in buona fede (good faith) che la riduzione del personale porti a maggiore efficienza o taglio dei costi o perché il lavoro può essere svolto altrimenti, anche in outsourcing; se è richiesto un altro profilo professionale; o se si localizza il business in un’altra area. Il limite per la spending review targata Nuova Zelanda, insomma, è il cielo e in questi tempi di crisi economica l’esecutivo kiwi ha deciso di tirare la cinghia. Indisturbato.
Se nel Paese australe è più facile licenziare, va anche detto che, grazie a un mercato del lavoro molto flessibile, è anche più facile ricollocarsi. E, in caso di difficoltà, c’è sempre la risorsa Australia. La Nuova Zelanda ha infatti firmato un accordo con il vicino australe, per il quale il boom delle materie prime sembra non finire, secondo cui i cittadini neozelandesi possono lavorare in Australia (e viceversa) senza dover richiedere alcun visto. Si prevede che parte degli esuberi nel settore pubblico e nelle forze armate verranno proprio assorbiti da Canberra. Anche perché se un impiegato pubblico medio guadagna in Nuova Zelanda 65mila dollari neozelandesi all’anno, lo stipendio per l’equivalente australiano lievita a ben 102.800 dollari. Una bella differenza.