X

“Npl, il Covid peserà: prepariamoci” parla Bossi

FIRSTonline

“L’ondata attesa di Npl non è ancora arrivata grazie allo scudo delle moratorie, ma arriverà. Probabilmente sarà nel 2022: va benissimo aver rimandato il problema, ma poi bisognerà anche affrontarlo”. A parlare con FIRSTonline di crediti deteriorati è uno dei massimi esperti italiani di questo mercato: Giovanni Bossi, un lungo passato come Ad in Banca IFIS e da poco più di un anno fondatore di Cherry 106, società di intermediazione finanziaria specializzata proprio nella gestione dei crediti difficili. “Con Chery 106 siamo partiti senza sapere del Covid ma nonostante questo siamo andati benissimo, meglio delle attese”, racconta il manager triestino nel fare un bilancio della sua nuova avventura. “Nel 2020 abbiamo acquisito 18 portafogli Npl, con acquisti per 300 milioni nel solo secondo semestre”.

Dottor Bossi, mesi fa lei aveva preconizzato una nuova ondata di Npl sul mercato italiano: è quello che sta succedendo? E’ solo il frutto della recessione da pandemia che sta mettendo in grande difficoltà imprese e famiglie o c’è dell’altro?

“Attualmente non c’è ancora nessuna ondata ma questo non deve sorprenderci: le istituzioni hanno impostato una difesa particolarmente forte, con le moratorie sui mutui, per evitare che le imprese andassero in crisi. La difesa però è a scadenza, sicuramente fino al 30 giugno anche se probabilmente verrà estesa fino al 31 dicembre. Io sono assolutamente d’accordo sul fatto di rinviare il problema per sterilizzare almeno per ora gli effetti della crisi, ma prima o poi l’ondata ci sarà e bisognerà farci i conti. Quanto alle cause, direi che no, non c’è altro rispetto al Covid: l’ondata di non performing exposures che ci attende è frutto del significativo arretramento del Pil, il quale è dovuto integralmente alla pandemia. Altrimenti per il 2020 avremmo parlato di una leggera crescita”.

Quando arriverà secondo lei l’ondata e come andrà fronteggiata?

“La sfera di cristallo non ce l’ha nessuno, ma se proprio dovessi sbilanciarmi direi che potrebbe arrivare qualcosa già dalla seconda metà dell’anno in avanti. Non traggano in inganno alcuni indicatori: il fatto, ad esempio, che le sofferenze bancarie siano risultate in calo a novembre, non è un indicatore attendibile, perché è solo la conseguenza della rete di protezione messa in campo dalle autorità. Su come fronteggiare, vorrei dire che dobbiamo farci trovare con la cassetta degli attrezzi pronta, ognuno per il ruolo che ha. Dal punto di vista del governo, sarebbe bello poter fare molto debito pubblico a sostegno dell’economia, ma possiamo farne un po’, non tanto. Per quanto riguarda gli imprenditori, il mio consiglio è di fare una approfondita analisi del business e chiedersi se è meglio stringere i denti e continuare oppure se è meglio cambiare business model”.

E le banche?

“Da parte delle banche c’è bisogno di essere estremamente consapevoli che la risposta alla crisi degli NPL dipenderà dalla qualità degli impieghi e degli interlocutori. Le banche non potranno salvare tutti ma nemmeno potranno abbandonare tutti: dovranno discriminare. Purtroppo siamo in una fase in cui bisogna supportare solo chi è meritevole e chi ha un futuro, altrimenti si accumulano ulteriori perdite, e si creano ulteriori crediti deteriorati”.

Le regole che disciplinano il mercato dei crediti difficili sono adeguate o andrebbero cambiate? Vede nuovi segnali di riflessione nelle Authority (Banca d’Italia, Bce ed Eba) su questo terreno?

“I segnali di apertura da parte delle autorità ci sono. La critica nei confronti di questi enti erano di essere “prociclici”: cioè che quando le cose andavano male, la stretta regolatoria che ne conseguiva faceva andare le cose peggio. L’impianto regolatorio comunque sta cambiando, anche se a macchia di leopardo, non sempre e non per tutti, anche perché c’è un tema regionale nell’universo bancario europeo: in alcuni Paesi le banche sono meno esposte; in Italia ad esempio il rapporto banca/impresa è molto forte, altrove di meno. Quello che non va bene è l’atteggiamento troppo rigido da parte del regolatore e soprattutto il tentativo di uniformare troppo le regole in tutta Europa. Di fatto quest’ultimo atteggiamento diventa un’azione di politica industriale: spingere le banche a comportarsi in tutti i Paesi in maniera uniforme incentiva i sistemi industriali a uniformarsi e questo stravolge le specificità nazionali. Per esempio in Italia abbiamo un tessuto di Pmi con esigenze diverse della gran parte del resto d’Europa. In ogni caso il dibattito è in corso e sembra esserci una nuova consapevolezza da parte dei regolatori. Secondo me la cosa migliore è un approccio interpretativo, perché cambiare le norme farebbe perdere troppo tempo tra i vari passaggi in europarlamento e in commissione”.

Dal suo osservatorio che segnali scorge sull’economia italiana? Dopo la forte recessione del 2020, entro la seconda metà dell’anno, pandemia permettendo, si potrà assistere ad un ragionevole rimbalzo?

“Quest’anno ho visto una grandissima capacità di innovare e di modificare il business model. Forse è proprio il fatto di avere un tessuto produttivo composto da piccole e medie imprese a favorire questa flessibilità nel reinventarsi e nell’adattarsi. Per quanto riguarda il rimbalzo, ovviamente ci sarà ma secondo me lo vedremo pienamente solo quando il vaccino sarà stato diffuso in quantità sufficiente da garantire l’immunità a tutta la popolazione, quindi non prima del 2022 credo”.

L’Europa ci inonderà di soldi se presenteremo progetti adeguati per il Recovery Plan ma l’Europa ci chiede anche di fare più investimenti che bonus assistenziali e soprattutto ci chiede riforme di cui non si vede traccia: che ne pensa? L’Italia può ancora mettersi in campo come l’Europa ci chiede o rischiamo di perdere un’occasione storica?

“Bisogna tenere conto della situazione e investire soprattutto sulla sanità, perché è così, oggi, che possiamo infondere fiducia tra i cittadini. E poi ci sono due grandi temi, l’istruzione e il digitale. Per quanto riguarda la scuola, le notizie che leggiamo in questi mesi sono deprimenti: stiamo rischiando di perdere una generazione, ci vorrebbe una profonda opera di acculturamento, di formazione. Sul digitale mi basta dire che i settori che hanno retto meglio alla crisi sono quelli che hanno potuto usare intensamente la tecnologia, come del resto abbiamo fatto anche noi di Cherry 106”.

Quando era alla guida di Banca Ifis lei individuò nella sportellite uno dei mali cronici delle banche italiane che dovevano puntare di più sul digitale. E’ ancora dello stesso avviso? Ma allora perchè vuole entrare come azionista di riferimento in Banco delle Tre Venezie?

“La sportellite è quando c’è un eccesso di sportelli: Banco delle Tre Venezie ne ha pochi, che sono punti di presenza necessari sul territorio. Forse anche il presidio, in futuro, si farà tutto in digitale, ma per ora nel dialogare con l’economia reale abbiamo anche a che fare con interlocutori che non hanno competenze tecnologiche. L’operazione col Banco delle Tre Venezie comunque non è ancora chiusa, ci stiamo lavorando e attendiamo il via libera delle autorità nel corso di quest’anno. Per noi questo è un progetto che consideriamo molto innovativo, c’è la possibilità per la banca di fare investimenti ad alto rendimento e a rischio consapevole, quindi una situazione win win che possa creare benessere per chiunque entri in contatto con l’istituto”.

Come sta andando la sua scommessa imprenditoriale e il suo gruppo Cherry, che ha da poco compiuto un anno di vita?

“Siamo molto contenti. Poco dopo l’esordio siamo stati travolti da una situazione complessa, quella della pandemia, che mai avremmo potuto prevedere, ma abbiamo dimostrato grande capacità di adattamento, grande affiatamento in un team che è anche cresciuto di molto numericamente: all’inizio eravamo 13, oggi siamo una cinquantina. Abbiamo superato il break even, da qua in avanti la strada è ben avviata. Devo dire che nemmeno prima della pandemia avrei scommesso che saremmo arrivati così lontano, invece ce l’abbiamo fatta nonostante il Covid. Per il 2021 abbiamo tre parole chiave: crescita, crescita, crescita. E poi come dicevamo c’è l’integrazione con Banco delle Tre Venezie. Tengo ad aggiungere che la nostra visione resta sempre attenta al bene comune, noi crediamo che la nostra attività possa e debba far bene anche all’economia all’interno della quale agiamo. Il bene dell’impresa è anche il bene dell’economia”.

Related Post
Categories: Interviste