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Novità Ocse: l’Italia ha più spazio per finanziare la crescita

FIRSTonline

Le previsioni autunnali dell’OCSE, pubblicate lunedì, riaprono la partita della politica economica europea, in particolare dell’espansione fiscale che il Fiscal Compact sembrava aver sepolto sotto una pietra tombale inamovibile. L’OCSE si basa su uno studio imponente che ha condotto negli ultimi anni sull’aumento dello spazio fiscale indotto dalla politica monetaria espansiva. Tassi d’interesse vicini allo zero hanno ridotto i pagamenti per interessi nel bilancio pubblico creando tale spazio anche nei paesi con più alto debito rispetto al PIL. Ulteriori risparmi si materializzeranno via via che viene a scadenza il vecchio debito con più alti tassi d’interesse.

Dal picco del 2011/12, i risparmi sui pagamenti d’interessi in Italia hanno già raggiunto 15 md di euro, ovvero 1% del PIL. L’OCSE prevede fino al 2% del PIL di spazio budgetario se il 15% del debito viene rifinanziato ogni anno, fino al 3,5% del PIL se il debito rifinanziato è il 25%. C’è dunque spazio per i necessari investimenti anti-sismici, per l’educazione, l’innovazione, le infrastrutture, le politiche attive del mercato del lavoro e le iniziative contro la povertà. Ovvero per far riprendere la crescita della produttività senza aumentare il rapporto debito/PIL.

In tutti i paesi del sud Europa e in Francia il rallentamento dell’economia ha indebolito anche il prodotto potenziale, quindi le opportunità di crescita di lungo periodo, minando le speranze dei giovani e la solidità del tessuto sociale. Grazie alla politica monetaria e al proseguimento delle riforme, un’efficiente selezione e monitoraggio delle spese potrebbero permettere una crescita maggiore del costo del finanziamento, in modo da ridurre il rapporto debito/PIL. Ma se in Italia le vecchie abitudini politiche- quelle che hanno cumulato 2 trilioni di debito con spese clientelari- riuscissero a mettere le mani su questi risparmi, i venti contrari delle banche in difficoltà e dei crediti incagliati prevarrebbero nella percezione da parte dei mercati finanziari.

E’ una buona novella quella dell’OCSE che ci presenta una politica realisticamente attuabile: un’efficiente espansione fiscale potrebbe finanziare la ripresa della produttività per 3-4 anni in tutta l’OCSE senza aumentare il rapporto debito-PIL; farebbe aumentare la crescita di un ulteriore 0,7%, e se l’espansione fosse coordinata tra paesi l’aumento sarebbe di 0,9% dopo un anno. Per i singoli paesi questa finestra di opportunità spazia dai 5 anni dell’Italia ai 4 per la Germania e uno per la Corea.

E’ interessante che anche la Commissione Europea dichiari la necessità di una politica fiscale espansiva – avete letto bene – nell’area Euro. Le previsioni d’autunno della Commissione mostrano infatti una crescita anemica e sottoutilizzazione di lavoro e capitale. Con esportazioni poco dinamiche, l’effetto sarà la caduta nella trappola di bassa inflazione e bassa crescita – con conseguente crescita del debito in rapporto al PIL – sperimentata dal Giappone negli ultimi 20 anni.

Ma la Commissione ammette che “I requisiti fiscali contenuti nelle raccomandazioni per i singoli paesi del Consiglio condurranno a una politica fiscale moderatamente restrittiva per il 2017 e 2018”. Infatti le regole fiscali dell’Area Euro per ridurre deficit e debito pubblico richiedono austerità finché l’obiettivo di medio termine è raggiunto in ciascun paese. Non esistono invece strumenti per una politica fiscale europea che complementi la politica monetaria. Quindi un risultato appropriato potrebbe essere raggiunto solo per caso. Per certo, nei prossimi anni il risultato sarà l’opposto di quanto necessario.

Fin qui l’analisi della Commissione, completamente condivisibile. Ma qual’ è la conclusione della Commissione? Si auspicano nuove istituzioni nel futuro più o meno lontano e ci si rassegna al paradosso che, con le regole esistenti, “chi vuole una politica fiscale espansiva non può farla e chi potrebbe non vuole farla!”. Per uscire dalla trappola della bassa crescita, meglio rivolgersi alla ricerca degli economisti dell’OCSE e dimenticare la schizofrenia dei guardiani delle regole.

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