Morandi non aveva un vero atelier, viveva e lavorava in una stanza, dove si trovava una grandina, uno scrittoio, un tavolo da disegno, il cavalletto e un’infinità di scaffali, dove riponeva vasi, brocche, bicchieri e scatole di ogni genere.
Questi immobili oggetti erano i suoi modelli, che a seconda del suo stato d’animo componeva e scomponeva in nature morte in perfetta sintonia cromatica.
Morandi, artista e poeta bolognese, era un profondo ammiratore di Pascal e di Leopardi. È proprio dal primo che comprese l’importanza di fare coincidere l’arte con la vita e di far vivere le sue opere attraverso la sua esistenza. Ed é così che nelle sue opere non vi é confine tra spazio e tempo, tra materialità e immaterialità.
Un uomo semplice con una personalità forte e consapevole delle proprie capacità espressive, dove il suo spazio fisico diventa proiezione del suo stesso spazio mentale.
Le sue opere appaiono come nature metafisiche di un mondo irraggiungibile che sanno raggiungere l’essenza delle cose.
Anche i paesaggi sono immersi in una sorta di luce quasi reinventata, colori polverosi ed impastati su se stessi, non lontani da i tramonti gallesi di Turner.
Ma sono le nature morte che meglio lo rappresentano, dove gli oggetti sono lo specchio di sé dove poter indagare la propria esistenza, infatti le sue “creature” sono molto spesso sempre le stesse, immobili dove le ombre coincidono con la loro materialità.
Nato a Bologna nel 1890 dove vivrà per tutta la sua vita accanto all’amatissima madre Maria Caccaferri e le tre sorelle, Dina, Anna e Maria Teresa.
Nel 1907 si iscrive al corso preparatorio dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna e in tre anni si diploma a pieni voti ottenendo il diploma d’onore.
Due anni dopo Morandi scopre nel libro di Vittorio Pica “Gli impressionisti francesi” alcuni dipinti di Cézanne come “Vaso di fiori” e “Angolo di tavola”, opere a lui sconosciute ma che lo affascinano profondamente.
E nel 1909 si reca a Firenze per vedere la Galleria degli Uffizi, dove rimane colpito in particolare modo dall’opera di Giotto e del Masaccio e di Paolo Uccello. Mentre a Venezia visita la Biennnale con un unico scopo, visitare la sala con trentasette opere di Auguste Renoir.
Rientrato a Bologna dipinse “Il paesaggio primaverile” e la “Nevicata“, dove si percepisce già una personalità morandiana, anche se il processo di formazione di Morandi é agli inizi. Nel 1912 ottiene l’abilitazione all’insegnamento del disegno.
Da questo momento iniziano i suoi rapporti con il Futurismo, e da qui la sua analisi delle trasparenze dei vasi di vetro, ma senza mai entrare nel merito del concetto di forza e dinamicità che stanno alla base del linguaggio futurista.
Siamo nel 1913, in questo periodo trovano esecuzione le opere, “Nature morte di vetri” “Ritratto della sorella” 3 alcuni “Paesaggi“.
Morandi con la guerra, chiamato alle armi, sospenderà di dipingere fino a quando si ammala gravemente e viene mandato a casa e riformato. Le opere successive sembrano uscire da immagini del primissimo Quattrocento con un evidente richiamo a Giotto.
Nel 1920 inizia per l’artista un periodo di maturità, dove si ricompongono tutte le sue esperienze. Si macina i colori per trovarne nuove cromie, si prepara le tele e sceglie sempre più accuratamente i suoi oggetti, portando la metafisica nelle cose più semplici. Ecco che le forme appaiono immagini di un’anima sospesa nell’aria, e le opere sempre più eterne.
Alla fine degli anni ’20, i dipinti assumono un significato più naturalista, quando frequenta gli ambienti del “Selvaggio” e dell’ “Italiano” fondati rispettivamente da Mino Maccari e da Leo Longanesi.
Nel decennio successivo la pittura di Morandi muta completamente, passando da uno stile naturalistico a uno dove la forma subisce il fascino della dissoluzione, quasi dettata da una esistenza psicologica dell’artista di offrirsi a una prova senza appelli.
I dipinti sembrano fotogrammi della stessa immagine che si ripetono, e mentre la seconda guerra sta per finire, Morandi abbandona Bologna per trasferirsi in campagna, tra Bologna e Firenze. Un periodo questo, dove il pittore scegli la strada dell’interiorità, del silenzio e della solitudine che sbianca ogni cosa.
Quando la sua notorietà aumenta, Morandi si ritira in se stesso ed è anche il periodo dove abbandona quasi completamente i paesaggi e si rifugia nella natura morta, sempre più contrasto tra luce e ombra.
Piano piano anche il colore rosa salmone che illumina molti suoi dipinti, viene sostituito dal nero quasi violetto che dona all’oggetto il significato di protagonista.
Negli ultimi anni, siamo tra il 1963 e 1964 ritrova l’amore per l’acquerello, come un segnare sulla carta “l’attimo fuggente” o forse quell’arcobaleno del suo cuore che non é mai riuscito ad esprimere: dove non ci sono né paesaggi né nature morte ma solo essenzialismo della forma.
Morandi ha composto la forma, ha poi saputo erigerla e farla vivere nel silenzio. Ora possiamo meglio comprendere che ogni suo oggetto aveva una vita, un movimento celato dall’ombra o una immensa fragilità paragonabile a ciò che l’opera morandiana ha dato all’arte moderna.