Semestre nero quello appena concluso per il fondo sovrano norvegese, gestito da Norges Bank, la Banca centrale norvegese, che ha registrato una perdita di 174 miliardi di dollari nella prima metà del 2022. A comunicarlo è proprio il fondo petrolifero norvegese – che possiede l’equivalente dell’1,5% di tutte le società quotate nel mondo – che ha accusato la sua maggiore perdita nominale in un semestre cancellando quasi interamente i guadagni messi a segno nel 2021. Secondo quanto comunicato, il fondo da 1200 miliardi di dollari ha registrato un rendimento negativo del 14,4% nel periodo gennaio-giugno che ha fatto bruciare 174 miliardi di dollari. Tutti i settori su cui investe il fondo hanno accusato perdite con eccezione di quello dell’energia. Lo scorso anno il fondo aveva avuto un ritorno positivo del 14,5%.
“Il mercato è stato caratterizzato da tassi di interesse in aumento, inflazione elevata e dalla guerra in Europa”, ha affermato l’amministratore delegato Nicolai Tangen in una nota, aggiungendo che “i titoli tecnologici hanno registrato un andamento particolarmente negativo con un rendimento inferiore al 28%”.
Le principali partecipazioni in Italia del Fondo sovrano norvegese
Nato 20 anni fa per reinvestire i proventi della fiorente industria petrolifera norvegese, il Fondo di Norges Bank è diventato una vera e propria miniera d’oro, grazie alla diversificazione della spesa e all’idea che quella spesa servisse per bilanciare il debito pubblico dei cittadini e garantire un avvenire roseo per le generazioni future. Ad oggi vanta partecipazioni in oltre 9mila società: l’1,5% di quelle quotate in tutto il mondo.
Attualmente, il rendimento di mercato del fondo è diminuito di 1.680 miliardi di corone a 11.657 miliardi di corone nei primi sei mesi dell’anno. Soldi distribuiti in tutto il mondo, Italia compresa. Da A2a a doValue (in ordine alfabetico), sono 151 le società quotate che hanno visto arrivare (o intensificare) la presenza del Fondo norvegese: dall’energia alle banche, dall’editoria al calcio fino alla farmaceutica per un valore che supera gli 8 miliardi.
Piccole quote, ramificate in tutti i settori. Dalle utilities come A2a, Saipem, Snam, Hera, Erg, Terna ma anche Amplifon e Diasorin. I norvegesi si sono comprati piccole fette di tutti i comparti del listino di Piazza Affari. Energia, con il 2,44% di azioni Eni, bancario, con l’1,31% in Intesa Sanpaolo. Pesci grossi e pesci piccoli: Autogrill, Mondadori, Leonardo, Stellantis, Poste Italiane, CNH e Cairo communications. Il 3,62% di Abitare In e, tanto per non farsi mancare niente, lo 0,37% della Juventus.
Il settore bancario è quello più comprato dal fondo norvegese, che ha investito non solo nei grandi player come Unicredit, Banca Generali (1,11%), Popolare di Sondrio (1,67%) e Bpm con l’1,24%, ma anche nel BFF Bank con l’1,57% o, per dire, nella Banca di Desio e della Brianza, con lo 0,02%.
Il Nbim possiede quote in molti marchi del lusso italiani: Brunello Cucinelli, Ferragamo e Moncler (1,33%). Più di 14milioni in Falck Renewables, il 2,04% in Oviesse, e poi Ferrari (0,60%), Nexi (1,30%) e il 2,32% di Prysmian.
Azioni che vanno ad arricchire il patrimonio del fondo sovrano nato dal petrolio, che però non investe più nel petrolio, che gestisce le pensioni dei norvegesi per le future generazioni e che ormai non esclude più alcun settore. Ma quest’anno le perdite si sono fatte sentire.