Il Nordest è il nuovo eldorado delle criptovalute grazie alle politiche di parziale riconversione delle vecchie centrali idroelettriche. Capofila della minirivoluzione energetica per il digitale è la startup trentina Alps Blockchain, una delle realtà più attive nel Triveneto nella nuova “frontiera” dell’estrazione delle valute alternative.
Come è noto, per estrarre le criptovalute si utilizzano sistemi di computer che necessitano di una potenza di calcolo impressionante. Dove è possibile scovarla ad un costo conveniente? Per esempio nelle centrali idroelettriche, impianti che trovano evidentemente produttivo ospitare le attività di estrazione (mining) per aumentare la marginalità dei loro conti economici.
«Nel primo anno, il 2018, ci siamo concentrati nella ricerca e sviluppo, individuando soluzioni per entrare nel mercato tramite servizi di consulenza specialistica, vendita di potenza di calcolo e noleggio dei macchinari», spiegano i due cofondatori Francesco Buffa e Francesca Failoni. Ad oggi gestiscono18 centrali nel Nord Italia, dislocate in tutto l’arco alpino, ma si sono già allargati anche in Toscana e Liguria.
Il progetto operativo, denominato Alps Farm, nasce nel 2019 con una logica relativamente semplice: massimizzare il rendimento dell’energia idroelettrica facendo incontrare il mondo delle rinnovabili con quello della tecnologia blockchain. Attraverso la gestione dei centri di produzione della potenza di calcolo, sfruttando la potenza dell’acqua, offrono la possibilità di aggiungere al settore un’opportunità di business che in giro per il mondo, soprattutto negli Stati Uniti, è già molto diffusa.
I siti idroelettrici si trasformano quindi in piccoli hub energetici con poliedriche possibilità di utilizzo: è il caso, per fare un esempio, della centrale di San Gaetano a Valstagna, in provincia di Vicenza, che da 70 anni faceva il suo classico lavoro di produzione di energia da destinare alla rete distributiva privata e industriale. La centrale, di proprietà del colosso vicentino dell’acciaio Afv Acciaierie Beltrame, attualmente destina l’80% dell’energia prodotta per la vendita alla rete e il restante 20% viene impiegato proprio per alimentare la rete di computer che estraggono le criptovalute.
Alps Blockchain grazie alle centrali attualmente attive ha installato 2.100 miners che generano 300 petahash/h (con 9 megawatt/h) e prevedono nel 2022 di raggiungere quota 6.000 miners. «Oltre al miglioramento del valore dell’energia autoconsumata, in media di oltre il 120%, il progetto Alps Farm genera un impatto positivo sul territorio e sul mercato, portando all’immissione di nuova domanda di energia pulita. Inoltre il mining immette sul mercato del lavoro nuove richieste ingegneri, turbinisti, tecnici qualificati dell’energia», osservano i due startupper trentini.
Non tutti i siti sono però adeguati all’estrazione di criptovalute: per ospitare una mining farm l’impianto deve disporre di una capacità di produzione di almeno 1.500.000 MW/h annui e garantire continuità nella produzione di energia, nonché il requisito di non avere diritto ad incentivi statali FER, che in questi casi possono limitare la fattibilità del progetto.
L’attività di Alps Blockchain oggi si concentra a monte, cioè sulla creazione dell’infrastruttura che sostiene la blockchain e la conseguente produzione di potenza di calcolo. I macchinari che installano si basano sull’algoritmo SHA-256, che è specifico per determinate blockchain. «Ad oggi inoltre ci rivolgiamo principalmente ai produttori di energia e quindi a un segmento specifico b2b. Abbiamo in previsione lo sviluppo di un nuovo servizio b2c dedicato a chi è interessato ad acquistare la potenza di calcolo generata dal processo di mining, per renderlo ancora più accessibile anche ai non addetti ai lavori. A questo progetto si lega l’obiettivo di arrivare ad acquisire in futuro un impianto idroelettrico di proprietà». L’attività di estrazione ovviamente non è a costo zero, produce conseguenze che bisognerà ben ponderare, sia in termini ambientali che di utilizzo delle risorse pubbliche.