X

Nord Est in economia di guerra e imprese tra crisi energetica ed elezioni: l’allarme di Carraro, Dalla Vecchia e Zago

Pixabay

In Veneto molte aziende non hanno praticamente mai chiuso, troppe incombenze e variabili da governare per l’autunno. Nei distretti della manifattura energivora, cuore pulsante dell’economia nazionale che dopo il Covid ha portato l’export a livelli mai registrati prima, serpeggia la paura di trovarsi questa volta di fronte veramente alla soglia di un burrone. Non si era nemmeno mai provata l’ebbrezza di una campagna elettorale in piena estate con una guerra nel cuore dell’Europa e una crisi energetica che potrebbe far impallidire anche chi ha vissuto quella degli anni Settanta.

L’allarme delle associazioni di categoria

Dalle associazioni di categoria i messaggi sono chiari: se non si metterà un argine alla folle corsa del prezzo dell’energia molte imprese decideranno a breve di sospendere le attività. Parlare di lockdown energetico non è più un tabù. Una eventualità che segnerebbe la fine di un modello industriale, ad energia di fatto illimitata e ad un prezzo accettabile, che ha fatto di questa zona dell’Europa industriale uno dei grandi centri globali delle catene del valore.

Il presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, evoca ormai lo scenario di un’economia di guerra per decifrare il presente dell’industria italiana. «Possiamo cominciare a parlare di “economia di guerra”? Forse sì, vista questa crescita esponenziale del prezzo dell’energia che, va detto, ha all’interno anche un forte fattore speculativo. Le aziende la cui componente energia è residuale rispetto al proprio margine o quelle più strutturate, anche a livello di strumenti finanziari, possono ancora reggere (per un breve periodo) ma gli energivori e le pmi rischiano di doversi fermare».

Sono freschi di pubblicazione i calcoli elaborati da Confindustria Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto: se nel 2019 il totale dei costi di elettricità e gas sostenuti dal settore industriale delle quattro regioni ammontava a circa 4,5 miliardi di euro, nel 2022 gli extra-costi raggiungeranno una quota pari a circa 36 miliardi di euro (41 miliardi nello scenario peggiore).

«Allora mi chiedo – prosegue Carraro – se da parte dello Stato sia meglio investire risorse straordinarie per calmierare questi aumenti oppure affrontare le conseguenze economiche e sociali di uno stop produttivo del Paese. Si sta interrompendo anche il fenomeno del reshoring e l’accorciamento delle filiere con il rientro delle produzioni, anzi c’è un evidente rischio di invertire la tendenza per cercare paesi “energeticamente competitivi” e questo porterà il nostro Paese a subire un arretramento a livello di concorrenza internazionale. La qualità e l’innovazione dei nostri prodotti conservano un forte appeal ma certo non tutti possono permettersi di vendere al prezzo di un prodotto “premium o luxury”. Serve invertire la rotta e farlo urgentemente perché questi costi condurranno presto ad un rallentamento della domanda interna e a gravi ricadute sul potere d’acquisto dei cittadini».

Le imprese tra crisi energetica e campagna elettorale

La tempesta energetica arriva in un momento delicatissimo per il Paese, stretto tra le promesse della campagna elettorale e un autunno che metterà ancora una volta alla prova la solidità del nostro sistema politico.

«Il sistema è da rivedere nel suo complesso perché il mondo e le condizioni del mercato internazionale, tra pandemia, guerra, speculazione e riassetto delle grandi potenze mondiali, si è ancora capovolto. Draghi ha un pregio: è competente ed è stimato nel mondo, prima fa i conti, poi opera e poi parla. La campagna elettorale ci sta mostrando che la politica invece preferisce fare il contrario e trovarsi, solo quando è ormai troppo tardi, a vedere che i conti non tornano», osserva Laura Dalla Vecchia, presidente di Confindustria Vicenza.

Tetto al prezzo del gas e riforma del meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità

Gli industriali del quadrilatero del Nord chiedono come prima misura emergenziale l’introduzione di un tetto al prezzo del gas europeo o nazionale, provvedimento difficile da portare a compimento per un governo in carica solo per affari correnti. «In Italia c’è una “questione industriale” – prosegue la presidente degli industriali vicentini – che non si limita al pur importante, urgente e sentito da tutti problema dell’energia. Un’azienda veneta che oggi ha ordini e mercato, ha possibilità di produrre e magari anche aumentare la propria produzione, oggi rischia di decidere che comunque qui non conviene investire. Sta diventando proibitivo fare quello che un’impresa deve fare: riuscire a coprire, con la vendita dei propri prodotti e servizi, i costi del lavoro, i costi delle materie prime e i costi industriali. Oggi, farlo, è un’impresa al limite del sopportabile. I costi delle materie prime e dell’energia sono folli, il costo del lavoro (che non comprende solo il costo degli stipendi che in Italia è comunque gravato da un peso fiscale ormai insostenibile) ci mette fuori mercato senza contare che se anche si riuscisse superare questi scogli, è davvero difficilissimo trovare manodopera specializzata. Ad esempio per coprire un terzo turno, quello notturno, che permetterebbe di aumentare la produzione».

Gli industriali chiedono inoltre la riforma del meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità da quello del gas e la destinazione di una quota nazionale di produzione da fonti rinnovabili a costo amministrato per l’industria manifatturiera. In sostanza le imprese chiedono di puntellare temporaneamente le falle di un sistema energetico che rischia davvero di mettere in ginocchio il sistema industriale, all’interno di una situazione economica più preoccupante addirittura di quella del primo lockdown.

«Le aziende hanno assoluto bisogno di stabilità politica, cosa che nel nostro Paese manca. Oltre ai problemi italiani oggi si sommano quelli europei ed internazionali, tante variabili che rendono difficilissimo anche fare programmi nel brevissimo termine», spiega Valentina Zago, direttore generale del gruppo Pro-Gest spa, colosso trevigiano del settore della carta e degli imballaggi. Macchinari super-energivori che lavorano 24 ore su 24, tutti i giorni, 365 giorni all’anno, lungo la filiera della carta che parte dal macero e arriva al prodotto finito.

«I costi fissi sono fuori controllo, come possiamo giocarcela con i nostri competitor che lavorano in Paesi che hanno prezzi dell’energia tre volte più bassi del nostro? Anche rimanendo qui in Europa, basta andare a vedere le tariffe energetiche di Spagna, Uk e Turchia». Nel marzo scorso la Pro-Gest spa aveva bloccato le linee con un costo dell’energia di 200 euro a megawattora, ora siamo sopra i 300. «A marzo il mercato tirava, adesso si scorgono i primi pesanti rallentamenti del ciclo economico. Non ci resta che parlare con ognuno dei nostri clienti e cercare di rivedere le tariffe. Di solito agosto era il mese dello stop, della manutenzione e dei ricambi in vista della ripartenza di inizio settembre. Al 30 di agosto siamo ancora in attesa di capire con quali prezzi riusciremo a mantenere commesse e portafoglio ordini. I prossimi dieci giorni saranno decisivi per capire cosa succederà».

Related Post
Categories: Interviste