Le varietà di uve sono numerosissime, quelle interessanti per l’alimentazione umana sono una decina ed appartengono prevalentemente a due specie, la Vitis Vinifera di origine europea e la Vitis Labrusca che appartiene al gruppo delle viti americane.
In Italia, le varietà coltivate a scopo alimentare, le cosiddette uve da tavola, appartengono prevalentemente alle varietà Italia, Vittoria e Regina per quanto riguarda le uve bianche e Moscato d’Amburgo, Red Globe e Rosada quelle rosse. Dal punto di vista nutrizionale l’uva da tavola, come tutti i frutti, si caratterizza per un contenuto elevatissimo di acqua, oltre l’80% della parte edibile, e per il contenuto di zuccheri, circa il 15% in peso. A differenza di altri frutti il contenuto di fibra è relativamente modesto, pari a circa l’1,5% del peso. Del tutto trascurabili dal punto di vista nutrizionale sono i contenuti di lipidi e proteine. Interessante notare come gli zuccheri presenti nella polpa dell’uva matura siano principalmente monosaccaridi di glucosio e fruttosio, tale caratteristica rende l’uva un alimento ancora più dolce di quanto il contenuto di carboidrati farebbe presupporre. Dal punto di vista energetico l’uva apporta circa 61 kcal/100g, un valore che la rende uno dei frutti più ricchi di energia se la si confronta con quelli più comunemente consumati in Italia come pesche, prugne, albicocche, mele, pere o meloni.
Per quanto riguarda il contenuto medio di micronutrienti nelle uve da tavola è da sottolineare il bassissimo contenuto di sodio e un discreto contenuto di potassio. Molto più scarsa è la presenza di altri minerali e vitamine. L’uva ha inoltre un interessante contenuto di polifenoli totali concentrati, se ci si riferisce alla parte edibile, nella buccia, che corrispondono a circa 300 mgGAE*/100g di uva.
Anche i ‘fastidiosi’ vinaccioli sono importanti
Una nota a parte va riservata ai vinaccioli, gli spesso odiati semi dell’uva, che sono in realtà una fonte interessante di acidi grassi polinsaturi della serie omega-6. L’olio di vinacciolo, infatti, è un olio delicato dal colore chiaro e dal sapore dolce e fruttato che si caratterizza per l’elevato contenuto di acido linoleico, circa il 67%, e per il basso contenuto di acidi grassi saturi, circa il 9%. Storicamente, i suoi impieghi principali sono nell’industria cosmetica e in quella chimica per la produzione di vernici. Il suo utilizzo in cucina è ancora modesto sebbene recentemente chef e blogger ne stiano proponendo l’impiego in alcune interessanti ricette.
Nel corso della storia, ben presto, l’uomo capì che forse la cosa migliore da fare con l’uva era il vino. Testimonianze della produzione di vino risalgono a tempi antichissimi e sono localizzate in Mesopotamia ed estremo oriente. In Europa la cultura del vino si fonde con la mitologia classica e raggiunge il suo apice con la religione Cristiana in cui il vino arriva a rappresentare il sangue di Cristo. Nell’arte le citazioni potrebbero essere numerosissime una fra tutte, opera di Michelangelo, “l’ebbrezza di Noè” scena della Genesi che si trova nella Cappella Sistina.
Dal punto di vista nutrizionale il vino si caratterizza per il contenuto di etanolo, prodotto della fermentazione a cui gli zuccheri dell’uva sono sottoposti durante la vinificazione. L’alcol, pur non essendo considerato un nutriente, apporta abbondante energia, 7kcal/g. Non tutti sanno però calcolare le kcal partendo dalla gradazione alcolica di un vino che esprime il contenuto di alcol in ml/100ml di bevanda. Per fare questo è necessario tenere conto della densità dell’alcol per passare dalla gradazione ai grammi ed alle kcal contenute.
Durante i processi di vinificazione, particolarmente per quanto riguarda i vini rossi, si assiste all’estrazione dalle vinacce di numerosi composti fenolici che si concentreranno nei vini fino a raggiungere quantitativi davvero significativi, compresi tra 1 e 5 g/L. Altro fenomeno, che contribuisce ad arricchire i vini di ulteriori composti fenolici, è rappresentato da eventuali passaggi in botti di legno che rilasciano ulteriori composti. I principali fenoli presenti nei vini sono catechine, antocianidine, acidi fenolici, resveratrolo e per la maggior parte, circa il 60-70% del totale, da polifenoli polimerici come tannini condensati o proantocianidine responsabili della caratteristica astringenza dei vini rossi dovuta alla capacità di precipitare le proteine ricche di prolina come quelle salivari.
Polifenoli: il paradosso francese, vino rosso contro le malattie cardiovascolari
Numerosissime sono le pubblicazioni scientifiche che negli anni hanno dimostrato l’azione protettiva dei polifenoli del vino nei confronti di malattie cardiovascolari, diabete, sindrome metabolica, stati infiammatori e stress ossidativo. Tali osservazioni portarono a sviluppare il concetto detto “Paradosso francese”, per spiegare il fenomeno secondo cui le popolazioni francesi, proprio grazie al consumo di vini rossi, non presentassero un’elevata incidenza di patologie cardiovascolari nonostante l’elevato consumo di grassi saturi (burro) nella dieta. Tra tutti i polifenoli del vino, quello che ha sempre goduto della maggior popolarità è sicuramente il resveratrolo, molecola che, con studi condotti prevalentemente in vitro ed in modelli animali, ha dimostrato interessanti proprietà legate al mantenimento delle funzionalità vascolari, antiossidanti, anti-aging. Tuttavia il resveratrolo rappresenta meno dell’1% di tutti i polifenoli dei vini rossi, pertanto, attualmente, le proprietà benefiche dei polifenoli del vino sono attribuite alla miscela complessiva dei polifenoli stessi ed ai loro metaboliti.
Più controverso invece è l’effetto dell’etanolo. Da un lato un’abbondante letteratura scientifica riconosce a basse dosi di etanolo un effetto sinergico a quello dei polifenoli nel ridurre il rischio relativo di mortalità cardiovascolare, dall’altro studi molto recenti ritengono questi benefici non sufficienti a compensare l’aumento di rischio di cancro dovuto al consumo di etanolo.
Una moda pericolosa, il binge drinking
Che l’etanolo fosse un cancerogeno non è certo una novità, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) lo incluse nel “Gruppo 1”, in cui sono comprese tutte le note sostanze cancerogene per l’uomo, già molti anni fa esattamente come più recentemente è accaduto per le carni processate e lavorate. Questo non significa che, sebbene alcuni autori propongano che l’unica dose di alcol priva di rischi sia la dose zero, le bevande alcoliche, così come le carni lavorate, debbano essere bandite dalle nostre tavole. Il rischio relativo cresce con l’aumentare dell’esposizione e le linee guida alimentari oggi contemplano, fra le abitudini alimentari salutari, sebbene non lo incoraggino, un consumo moderato di bevande alcoliche, meglio se a bassa gradazione, Valido esempio di dati raccolti a sostegno di un basso e moderato consumo di vino o birra è fornito dall’EPIC-Norfolk Prospective Population Study, pubblicato nel 2008, in cui fra i comportamenti salutari capaci di migliorare l’aspettativa di vita è compreso un consumo di bevande alcoliche compreso tra 1 e 14 unità alcoliche alla settimana.
Ad oggi, quindi, il cuore del problema rimane legato alla quantità, facile è parlare di consumo moderato, inteso come consumo compreso tra 1 e 2 unità alcoliche giornaliere (8-16 g etanolo/die**), molto più difficile è educare seriamente a tale consumo moderato. Se da un lato, infatti, cala il numero di persone che consumano alcolici quotidianamente, dall’altro aumenta il numero di persone, prevalentemente giovani, che arriva a consumare più di 6 unità alcoliche in una stessa giornata, fenomeno noto con il nome di binge drinking, esponendosi a gravissimi rischi per la salute.