Luca Paolazzi, il direttore del Centro Studi di Confindustria aprendo il convegno degli industriali a Milano ha risposto con grande efficacia alla crescente schiera di coloro che, in maniera più o meno esplicita, stanno prendendo la distanze dai provvedimenti che il Governo Monti sta varando, affermando che sono solamente recessivi e che non c’è nulla che favorisca la crescita e la creazione di posti di lavoro. Sono sempre più numerosi coloro che affermano che” ben altro” sarebbe quello che è necessario fare per creare veramente nuova occupazione. La maggior parte lo fa per cercare di rifiutare le riforme che li riguardano. Altri, ma sono una minoranza, per chiedere misure ancora più incisive. Nel complesso questo partito dei “benaltristi” nel quale militano i politici della precedente stagione in cerca di rivincita, ma anche alcuni studiosi di rilievo come Giuliano Amato ed il Procuratore Scarpinato, diffonde di fatto un clima di sfiducia che certo non agevola una più consapevole visione del futuro di questo paese.
Luca Paolazzi ha indirettamente risposto a tutti affermando che le riforme sono l’unico modo per far uscire l’Italia dalla stagnazione, che esse vanno perseguite rapidamente ma poi mantenute per un tempo adeguato senza quel continuo avanti ed indietro che spesso ha caratterizzato l’agire dei nostri politici e che esse devono puntare in primo luogo a modificare i comportamenti di tutti gli italiani, spingendoli a lavorare di più, meglio, e più a lungo. Certo poi ogni riforma serve anche a modificare il quadro di finanza pubblica o a cambiare i conti economici di questo o quel settore. Ma è ancora più importante che esse, tutte insieme, consentano di rompere l’ingessatura nella quale ormai il paese è prigioniero e che gli impedisce non solo di correre ma financo di camminare. Paolazzi dimostra che solo una paziente e costante opera di riforme consentirà all’Italia di arrivare nell’arco di qualche anno a tassi di crescita superiori al 2%, mentre non esistono scorciatoie e men che meno se basate su un allargamento della spesa pubblica.
Andando anche un po’ al di fuori della tradizionale analisi del Centro Studi, Paolazzi ha detto che la crisi italiana è dovuta ad un fallimento dello Stato e non certo al fallimento del mercato (e così Tremonti è stato sistemato), che per tanti anni ha speso troppo, mal, e con motivazioni clientelari, dissipando così risorse che avrebbero potuto essere impiegate dal mercato con ben altra efficienza. Il problema ora è politico, prima ancora che economico. Per troppi anni abbiamo incorporato dei virus dovuti che ci hanno fatto perdere competitività a causa della cattiva gestione della politica e della incapacità di introdurre cambiamenti al momento giusto e con la necessria coerenza.
Sicuramente Monti non ha fatto tutto quello che sarebbe stato oppurtuno. Tuttavia ha posto le basi per una modifica profonda dell’attitudine degli italiani verso il lavoro e verso la collettività. Questo passa per una fase di maggiori sacrifici anche di carattere fiscale, ma si tratta di un arretramento tanto più modesto e di breve durata, quanto più rapidamente cambierà l’organizzazione del sistema economico italiano, anche per l’abolizione dei tanti privilegi corporativi o dei tanti monopoli che impongono sovracosti ai cittadini ed alle imprese. Dopo le liberalizzazioni, la riforma del mercato del lavoro è un tassello fondamentale per cercare di migliorare la produttività della nostra economia. E non si può andare avanti con le formule del passato, come quelle evocate dal sindaco di Milano, Pisapia, secondo il quale certe norme come l’articolo 18 vanno mantenute (magari adeguandole un po’) per salvaguardare la coesione sociale, quando l’impoverimento generale del paese dimostra che simili norme non proteggono ormai nessuno se non un piccolo gruppo di privilegiati e certo non salvaguardano la coesione della società.
Quello che Monti non ha ancora toccato, a parte le pensioni, è il settore pubblico inteso non solo come i privilegi della casta ,ma più in generale come il modo di operare della politica ,il sistema istituzionale dei veti tra i tanti e confusi livelli di competenze ,la corruzione che nell’insieme distorcono i mercati ed impediscono una normale dinamica economica e sociale. Gli esempi sono numerosi e vanno dalla burocrazia che impedisce un normale ampliamento di un capannone industriale, alla impossibilità di fare una gestione razionale (ed anche economicamente conveniente) dei rifiuti, alle opere pubbliche sottoposte a una tale massa di regolamentazioni variabili nel tempo da tener lontani molti potenziali investitori privati, per finire alla gestione della Pubblica amministrazione che non si basa sulla valutazione dei risultati ma su formalismi del diritto amministrativo,ed al sistema scolastico ed universitario dove stiamo arretrando da anni e dove si perdono vere e proprie occasioni di business come l’istituzione di corsi per studenti stranieri disponibili anche a pagare rette elevate.
I partiti, com’è naturale, tendono a considerare il Governo Monti una parentesi e si apprestano nel 2013 a tornare al potere. Ma con quale programma? Sarebbe una catastrofe se pensassero di ricominciare come prima a spendere soldi prelevati dalle tasse per rafforzare il loro consenso, o peggio per favorire gli affari delle cricche di amici. Le riforme di cui il Paese ha bisogno sono molte. Tutti gli aspetti della vita civile ed economica devono essere toccati. Ci vuole una prospettiva di medio termine ed una forte convinzione e volontà riformatrice. Ed in primo luogo i partiti se vogliono risalire nella stima degli italiani devono dimostrare di aver rotto ogni legame con il modo clientelare e truffaldino con il quale finora hanno amministrato lo Stato e soprattutto gli enti locali come è testiminiato dalle inchieste della Magistratura che ogni giorno i giornali ci raccontano. E’ su questo tipo di cambiamento dell’offerta politica che gli italiani il prossimo anno saranno chiamati a scegliere i propri governanti.