Con le elezioni europee alle porte, divampa il dibattito su quale debba essere il futuro della moneta unica. Secondo il centro studi Nomisma, il progetto dell’unione valutaria si è rivelato in parte fallimentare, ma l’eventuale ritorno alle divise nazionali – una proposta che riscuote successo su più fronti – porterebbe danni ancora peggiori rispetto a quelli finora subiti dalle economie dell’Eurozona.
“L’euro non ha funzionato bene, ha generato nei suoi 15 anni di vita più divergenza che convergenza, conducendo con la crisi a penalizzazioni eccessive per i Paesi periferici – si legge nell’analisi di Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, pubblicata nel numero di maggio della newsletter –. Il ritardo con cui si è consentito alla Bce di debellare attraverso gli Omt il panico finanziario ha fatto sì che quest’ultimo guidasse per un lungo periodo le scelte di politica economica dei paesi sotto attacco, con effetti recessivi che potevano essere limitati. Ma esserne consapevoli non porta a proposte di abbandono dell’euro, che determinerebbero danni ben peggiori”.
Gli analisti di Nomisma ritengono che rotture traumatiche avrebbero conseguenze politiche ed economiche che potrebbero portare – con la chiusura dei mercati – a un isolamento economico-finanziario dell’Italia, all’apertura di contenziosi legali con i creditori, alla conseguente incertezza sui valori di bilancio e all’erosione dei risparmi delle famiglie da parte dell’inflazione.
Esistono barriere politiche, economiche e tecniche all’uscita, che però – secondo Nomisma – non valgono in ogni circostanza. “Se l’opzione di stare nell’euro dovesse divenire troppo onerosa per persistenza della disoccupazione di massa ed estensione dei fenomeni di impoverimento – prosegue De Nardis –, allora potrebbero formarsi maggioranze di cittadini i cui interessi sono più colpiti e che ritengono sopportabili i costi di un’uscita. Non si può dunque fare affidamento sull’elevatezza delle barriere all’uscita per mantenere invariato il frame work politico ed economico”.
Gli analisti del centro studi sottolineano inoltre la necessità di sfruttare tutti gli spazi disponibili per rafforzare l’architettura europea: primi passi in tale direzione si osservano, ad esempio, nel lento delinearsi di un’unione bancaria, ma rimane comunque responsabilità della politica – sotto la spinta in primo luogo dei Paesi che hanno un interesse comune come Italia, Francia e Spagna – accelerare i tempi, ampliando così la portata dei mutamenti in due direzioni, ovvero ridefinendo il percorso di aggiustamento del Fiscal Compact e rendendo maggiormente simmetrico il riequilibrio competitivo intra-europeo.
Allegati: Il testo completo dell’analisi.