Enel, Eni e Terna, le tre corazzate dell’energia italiana, sono arrivate alla vigilia delle nomine ai vertici e delle assemblee di maggio. Per tutte e tre le aziende a controllo pubblico, si conclude un triennio e che cambi o meno il vertice – il governo Meloni annuncerà a breve le decisioni definitive sulle nomine che sono praticamente fatte – è il momento per tracciare un bilancio: cosa è stato fatto, cosa resta da fare. Enel è oggi una grande multinazionale, leader dell’energia rinnovabile; Eni ha cavalcato una crisi del gas, dopo l’invasione russa in Ucraina, che non ha precedenti dal Dopoguerra; Terna è alle prese con la necessità di rafforzare la rete di trasmissione nazionale in linea con la transizione energetica in corso. Il piano RepowerEu, lo stop ai motori termici dal 2035, la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici al 2033, l’indipendenza dal gas russo: tutto spinge ad accelerare i cambiamenti nel settore chiave dell’energia dopo gli shock della pandemia e della guerra.
Enel: dal nucleare alle rinnovabili, la rivoluzione di Starace
Francesco Starace è arrivato al vertice del gruppo Enel nel maggio 2014, dopo aver guidato per sei anni Enel Green Power. Arrivato sul ponte di comando di Enel Group ha cambiato drasticamente la rotta del suo predecessore Fulvio Conti che aveva avuto il merito di conquistare Endesa senza però riuscire a realizzare l’espansione nel nucleare con la francese Edf.
Il cambio di rotta di Enel: leader nelle rinnovabili, regina di Borsa
Starace ha impresso una visione fortemente innovativa al gruppo e lo ha fatto con una velocità di esecuzione sorprendente. Ha puntato decisamente sulle rinnovabili e sulla decarbonizzazione, ha riorganizzato completamente la struttura e la geografia del gruppo rendendola più semplice e visibile, ha imboccato la strada della finanza sostenibile e lanciato – primo gruppo energetico al mondo – le obbligazioni sustainability linked, oggi ampiamente diffuse sul mercato, grazie al supporto e alla solida collaborazione con Alberto De Paoli, al suo fianco sin dall’inizio come direttore finanziario.
Il risultato è stato un Ebitda iniziale di 15,5 miliardi che oggi sfiora i 20 miliardi (19,7), una crescita verticale nelle rinnovabili passate da 9,6 a 59 GigaWatt con un balzo di 5,2 GW aggiuntivi nel 2022, un record che fa oggi di Enel il primo produttore di elettricità da fonti rinnovabili al mondo. Per non parlare dello stabilimento 3Sun a Catania: un investimento di 600 milioni per farlo diventare il primo produttore europeo di pannelli fotovoltaici. La crescita è stata esponenziale così come gli investimenti per realizzarla: 88 miliardi in 9 anni, quasi 24 miliardi spesi in Italia, e il debito è passato da 40 a 60 miliardi. Chi prende oggi in mano Enel dovrà riportarlo intorno a un multiplo di 2,5x sull’Ebitda: Starace ha annunciato un piano di dismissioni da 21 miliardi per farlo planare a 51-52 miliardi entro fine 2023. La discesa è già avviata: dopo Argentina e Romania, venerdì sono stati ceduti gli asset in Perù. Infine, in questi 9 anni Enel è diventato il primo gruppo per capitalizzazione alla Borsa di Milano – 59 miliardi il 6 aprile – superando la “rivale” Eni, con un ritorno per gli azionisti sia sul capitale che sul dividendo. La cedola è passata da 13 centesimi nel 2014 a 40 nel 2022, le azioni sono salite da 2,5 euro a fine 2013 a 5,8 euro del 6 aprile con un valore record a 8,9 euro nel gennaio 2021. Il target zero carbon è stato anticipato dal 2050 al 2040 ma, ha detto Starace, “penso che ci arriveremo prima”.
Eni: con Descalzi supera lo shock russo e si organizza in satelliti
Claudio Descalzi è diventato amministratore delegato Eni, anche lui come Starace all’Enel nel maggio 2014. Non è certo un outsider, in Eni è per così dire nato e cresciuto: Italia, Africa, Medio Oriente, le attività operative sono state a lungo il suo pane quotidiano. È anche grazie a questa notevole esperienza sul campo e alle relazioni internazionali acquisite che ha potuto “in 10 mesi sostituire il 50% delle forniture di gas dalla Russia” (pari a 20 miliardi di metri cubi), come lui stesso ha detto, spostando rapidamente l’approvvigionamento sull’Algeria. Un banco di prova superato con successo, dopo i picchi nelle quotazioni del gas successivi alla pandemia e all’invasione russa in Ucraina che avevano fatto schizzare i prezzi oltre i 300 euro nell’agosto 2022, mettendo in ginocchio l’Europa e l’Italia.
Eni non solo oil&gas: Plenitude, mobilità sostenibile e fusione nucleare
Descalzi ha preso in mano l’Eni dopo la gestione Scaroni e l’ha riportata sugli obiettivi industriali: produzione e sviluppo nell’oil&gas, ma anche rilancio della chimica verde – dai biocarburanti “sospesi” dalla Ue all’ultimo affondo su Novamont – e innovazione con la fusione nucleare. Ha potuto contare sugli anni ricchi del petrolio oltre i 100 dollari ma ha anche dovuto fare i conti con lo shock della pandemia e della guerra in Ucraina con quotazioni oil precipitate a 20 dollari e i prezzi del gas russo fuori controllo. Senza trascurare la pressione della transizione energetica, invocata ma difficile da realizzare. Eni ne è uscita lasciando un’impressione di innegabile solidità testimoniato anche dalla tenuta in Borsa e da dividendi passati gradualmente da 40 a 94 centesimi. Negli ultimi 6 anni Descalzi si è dedicato a trasformare l’Eni da un gruppo integrato sull’oil&gas ad un gruppo articolato in satelliti: Var Energy in Norvegia, Azul Energy in Angola, Eni Sustainable Mobility (biocarburanti e servizi) e Plenitude per tutte le attività retail e rinnovabili. Guardando al futuro, la più importante delle sfide resta la sicurezza delle forniture e la loro diversificazione insieme alla transizione verso un mondo più verde. Descalzi punta al raddoppio della produzione rinnovabile ma è anche convinto che avremo bisogno ancora a lungo del gas destinato a raggiungere il 60% della produzione Eni nei prossimi anni, inclusa la componente Gnl, con il Mozambico diventato operativo in tempi record.
Terna: la sfida delle infrastrutture nel Paese del NO
Dopo Enel ed Eni, Terna. Nel Paese del NO – alle infrastrutture, ai rigassificatori, alle autostrade; al carbone come alle rinnovabili – la vera sfida di Terna è stata e sarà portare avanti gli importanti piani di investimento per ammodernare la rete di trasmissione elettrica nazionale. Dalla realizzazione degli investimenti di Terna dipende il suo fatturato ma anche futuro della transizione energetica che ci siamo impegnati a realizzare al 2030. Terna è dunque il backstage del cambiamento, meno visibile di Enel e Eni ma non meno importante. È diventata in pochi anni il primo Tso (Transmission system operator) in Europa. Se a Flavio Cattaneo e a Matteo Del Fante (che l’hanno guidata in passato) si deve la scelta delle direttrici di sviluppo, Luigi Ferraris e, dopo di lui, Stefano Donnarumma hanno spinto sulla realizzazione degli investimenti. Come? Con un migliore e più diretto rapporto con le popolazioni interessate ai progetti, senz’altro. Con piani di crescita rigorosi. E con linee elettriche interrate o marittime, quindi invisibili e tecnologicamente avanzate.
Donnarumma è arrivato a Terna dalla romana Acea nel maggio 2020 e ha portato l’Ebitda da 1,8 a 2 miliardi, l’utile da 785 a 857 milioni, il dividendo da 29,11 a 31,44 centesimi per azione, la capitalizzazione di Borsa da 12,5 a 16 miliardi, completando un lavoro di graduale ma costante crescita intrapreso anche dai suoi predecessori. Ma il dato più significativo è senza dubbio la spinta agli investimenti. Nel 2022 Terna ha investito 1,76 miliardi con una crescita del 15,5% sull’anno precedente e un ritmo aumentato di anno in anno (1,35 miliardi nel 2020). Degli 11 miliardi di investimenti inseriti nel piano Driving Energy entro il 2025, la metà andrà al Thyrrenian Link e all’Adriatic Link, entrambi con linee sottomarine. Due progetti strategici in consegna al vertice che verrà.