È trascorso ormai più di un anno da quando abbiamo dovuto interrompere per colpa del Covid una “cerimonia” tanto cara anche ai lettori di FIRSTonline: la visione e la scrittura di un film appena uscito nelle sale cinematografiche. C’è stata poi una specie di pausa, alla fine del primo lockdown, ma non ha fatto testo: eravamo ancora tutti storditi per quanto era appena avvenuto e non ancora preparati per quanto poi sarebbe successo. Ora siamo tornati e parleremo di Nomadland, un grande successo da poco nelle sale e non è un caso che sarà proprio questo il titolo con il quale, speriamo, di riprendere il filo del racconto cinematografico con i nostri lettori.
Anzitutto la “cerimonia” del rientro nella sala, di fronte al grande schermo. Non c’è confronto: non ci sarà mai produzione dei vari Netflix o Amazon Prime che regga l’emozione delle grandi immagini proiettate al cinema. Entrare nel buio, cercare i posti assegnati, ascoltare l’audio a volume adeguato e apprezzare le visioni, specie se di grandi panorami, non è paragonabile in alcun modo alla pur comoda poltrona di casa. Ci è tornata in mente un’emozione simile, quando abbiamo avuto la fortuna di vedere il Napoleon di Abel Gance riproposto con il restauro di Francis Ford Coppola, proiettato a Roma, di fronte al Colosseo, nel lontano 1981, nella felice cornice della mitica “Estate Romana” con l’orchestra dal vivo e su tre enormi schermi. Un sogno indimenticabile. Un film di cui Chaplin disse che si trattava di una “tempesta di immagini”.
Andare al cinema si potrebbe considerare un rito laico che richiede preparazione e predisposizione. Ci si informa prima, si segue un filone o un autore, si segue una trama cercando i precedenti, le similitudini o i riferimenti ad altre opere cinematografiche. Di fronte alla televisione succede tutt’altro e lo stato emotivo, almeno per chi vi scrive, è di ben diversa natura.
“On the road again” è stato il primo pensiero che abbiamo avuto quando siamo entrati in sala. Già: si è trattato proprio di un ritorno su antiche strade. Le stesse che vi abbiamo raccontato quando su questo giornale online abbiamo proposto tanti film. Siamo tornati dove eravamo già stati e, a questo proposito, ci sia consentita una citazione che, peraltro, ci introduce bene al film di cui parleremo: “Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito” di José Saramago.
Lo stesso sentimento si può provare per il cinema: è un racconto che non finisce mai, come la scrittura. Solo che avviene con strumenti diversi e complementari: la penna e la cinepresa. Questa, forse, una delle tante magie del cinema e speriamo sempre che non ci sia altro Covid che la possa minacciare. C’è tanto ancora da vedere. Veniamo a Nomadland: si tratta di un titolo beneaugurante per una nuova e diversa stagione di cinema. Parliamo di una pellicola anomala: non ci sono scene di sesso, di sangue e non si parla di soldi, di successo facile. Non ci sono proprio le “S” che misurano solitamente il gradimento da parte del grande pubblico. È un film che non ha una “trama” classica, non c’è un inizio o una fine. È un film che si racconta da solo, con frammenti di immagini e sequenze senza un apparente filo logico. Eppure ha una sua struttura interna solida, forte, robusta e piena di riferimenti a temi di enorme spessore.
Viene proposto il racconto di un frammento di una vita, come si trattasse di una pellicola senza fine, dove si parla di una persona che ha deciso di vivere da nomade, senza un tetto sulla testa, senza per questo essere considerata marginale o periferica, alternativa o discriminata rispetto alle “vite normali” di chi invece vive nelle metropoli, ha un lavoro solido e bene retribuito e gode di solide protezioni sociali. E non a caso, le prime immagini del film ci portano dentro il cuore di un centro di distribuzione di Amazon, dove Fern svolge un lavoro occasionale e stagionale. Frances McNormand è un pilastro del cinema contemporaneo e non a caso ha vinto tre Oscar come migliore attrice. Noi l’abbiamo conosciuta ed apprezzata con il suo ruolo in Fargo dei fratelli Coen per poi ritrovarla, nella superba interpretazione di Tre manifesti a Ebbing, Missouri del 2017 (vedi nostra recensione).
Fern, è tra le vittime della recessione, di una delle tante crisi economiche che avvengono in tante parti del mondo e che lasciano a terra storie umane, drammi e solitudini dalle quali difficile riprendersi. Lei decide di girare pagina in altro modo: con un suo sgangherato Van si mette, appunto, “ …on the road” per vivere una vita nomade, non senza tetto ma con un furgone come casa. Le immagini dei grandi panorami americani sono sempre di grande suggestione e chi vi scrive le ha vissute direttamente: ho attraversato grandi praterie con i mitici Greyhound, come pure passato le notti nel deserto del Nevada, dormito in tenda sulle Montagne rocciose come pure negli YMCA. Forse, per tutto questo, abbiamo apprezzato in modo particolare Nomadland: può essere un buon augurio per tornare al cinema, nella grandi sale, presto e bene.