Ci risiamo. Terminato l’effetto dei prestiti della Bce, la crisi torna a riffacciarsi sull’orizzonte dei listini. E agettare ombre sempre più pesanti sull’economia reale. E’ così oppure la “gelata” quest’anno sarà meno dura che nel 2010/11 in piena sindrome greca? “Purtroppo lo schema è lo stesso, Quando viene meno l’effetto morfina torna a riemergere la vulnerabilità del sistema” risponde Mario Noera, docente di Economia dei mercati finanziari all’Università Bocconi.
Stavolta, però, la Grecia non c’entra.
“L’innesco della crisi può essere collegato ai dubbi sulla ripresa dell’economia americana, che resta fragile. Oppure la frenata della Cina”.
Cause estranee alla crisi europea.
“Questo conferma soltanto che i mercati non attribuiscono all’Europa la capacità di uscire da sola dalla crisi. L’Europa subisce ancora gli eventi altrui, appesa ad un filo di speranza legata all’export. La situazione non è cambiata, ma non se ne prende atto: non so se per volontà o per insipienza politica”.
Eppure non sono mancati vertici ed accordi politici in questi mesi. Tutto inutile?
“A parte la generosità dell’intervento della Bce, in sostanza si è vista un’iniziativa sola, per giunta pro-ciclica rispetto al clima recessivo: il Fiscal Compact (il patto che vincola i governi dell’Ue a un maggiore rigore nei conti e nei bilanci, ndr), che è un concentrato di costrizioni fiscali, per giunta destinate a protrarsi nel tempo. Rischia di profilarsi un quadro molto inquietante, in assenza di correzioni: si calcola che i Paesi Ue potranno sopportare la tabella di marcia prevista dagli accordi nel caso di crescita tra l’1.5 e il per cento. Altrimenti saranno necessarie nuove manovre correttive prima in Portogallo, poi in Spagna. Infine in Italia”.
In questa cornice si rischia di azzerare l’effetto della generosità della Bce. O no?
“In realtà non credo sia il caso di parlare di “generosità”. La Banca centrale europea non ha immesso nuova liquidità. Semplicemente ha colmato il buco di liquidità che si era creato con il blocco del mercato interbancario. Prima della crisi le banche dei paesi forti prestavano i capitali ai paesi deboli. Poi il flusso si è interrotto e la Bce ha dovuto svolgere un ruolo di supplenza. L’intervento di Mario Draghi ha fatto da ammortizzatore del danno, non da propulsore della ripresa”.
Insomma, il sistema europeo si è rinazionalizzato. E’ così?
“E’ uno dei fenomeni dell’attuale crisi che comporta almeno due conseguenze. Primo, la corsa dei capitali nei Paesi forti, con il risultato che i tassi tedeschi stanno toccando rendimenti minimi, contribuendo così ad allargare lo spread. Secondo, non funziona la redistribuzione della liquidità, cosa che ha costretto la Bce a scendere in campo per surrogare il mercato dei capitali dell’area euro. Di questi tempi la regola è che nessuno compra più i titoli degli altri: vale per i tedeschi, i francesi ma anche per il nostro sistema o quello spagnolo”.
In questo quadro sembra appannarsi la stella internazionale di Mario Monti che aveva suscitato grandi speranze all’inizio.
“Le prime mosse erano state molto incoraggianti. Verso l’azione di governo, vedi riforma delle pensioni, era stata davvero pesante. Ma sull’altro piatto della bilancia c’era il recupero di una grande credibilità internazionale culminata nell’accordo sottoscritto da 26 Paesi che sembrava essere l’avvio di una fase nuova dell’azione politica della Ue. Purtroppo, da qualche tempo siamo tornati al quadro di prima: il Fiscal Compact è una creatura voluta dai tedeschi. Così come non si è visto un cambiamento significativo sul fronte delle risorse al Fondo salva Stati. E la stasi internazionale si è riflessa sulle mosse di politica interna”.
Ovvero?
“Ovvero è tornata nei fatti a prevalere la ricetta della deflazione interna così come suggerita dalla Bundesbank che prevede il taglio dei salari. Di qui l’irrigidimento che ha segnato la fase che ha preceduto la riforma del lavoro. Eppure basta guardare alla Spagna per capire che questa ricetta non riesce a convincere i mercati. Madrid ha adottato una riforma del lavoro assai più rigida della nostra e ha varato tagli di bilancio altrettanto dolorosi. Ma non ha convinto gli operatori finanziari che oggi guardano alla mancata crescita più che ad altri indicatori.
Insomma, l’eurodibattito è al punto di partenza. E nulla si muove prima delle elezioni francesi.
“Poi verranno quelle tedesche e, non dimentichiamolo, il voto in Italia. Le elezioni francesi possono essere un rischio ma anche un’opportunità. E’ possibile , in caso di vittoria socialista, che la Francia chieda di ridiscutere il Fiscal Compact . A mio avviso questa può essere una grande opportunità per Mario Monti che non guida di sicuro un esecutivo di sinistra ma può sfruttare la riapertura del dibattito per proporre all’Europa una linea che rimetta in primo piano la partita dello sviluppo”.