La crisi cinese è solo l’ultima conseguenza della finanziarizzazione dell’economia globale. Le politiche monetarie espansive sono riuscite, finora, a lenire il dolore provocato dagli squilibri tra i sistemi, ma gli effetti sono sempre più limitati. Urge un cambio di paradigma sia nelle politiche nazionali che a livello internazionali con l’obiettivo di una nuova Bretton Woods che, ahimè, non figura nell’agenda delle istituzioni. Mario Noera, docente in Bocconi di economia e diritto dei mercati finanziari, interpreta così la situazione alla vigilia di un autunno che si annuncia caldo: crisi borsistica e valutaria cinese, incertezza sull’evoluzione dei tassi Usa, crisi greca tamponata ma niente affatto superata. E, sullo sfondo, la maledizione di un mondo che rallenta la crescita.
In questo contesto, però, si rafforza la critica di chi, come Lawrence Summers, invoca un cambio di rotta della politica economica, che non si limiti alle iniezioni di liquidità o altre manovre di politica monetaria.
“Sono d’accordo con Summers, Krugmann o gli altri intervenuti in questi mesi. Il problema è che, dal 2008, viviamo sotto la minaccia di una deflazione latente che per ora è stata contenuta solo grazie alla totale dipendenza dall’espansione monetaria. Non si è fatto ricorso, come auspicabile, ad un mix di politica monetaria e fiscale, ma si è fatto ricorso alla sola arma monetaria. In questo modo si è puntellato il pavimento, evitando il tracollo, ma si è voluto ignorare il fatto che la politica monetaria da sola non è propulsiva, perciò da sola non può far ripartire la crescita. E’ una droga che è stata usata in dosi massicce anche in Cina, dove ormai siamo di fronte ad un sistema ampiamente finanziarizzato.
Non resta che accelerare sul fronte delle riforme strutturali come predica Mario Draghi.
“Non credo che sia sufficiente. Penso sia necessario, semmai, avviare politiche di stampo keynesiano, capace di creare la domanda. Ovvero sarebbe necessario far ricorso a politiche fiscali espansive finanziate da deficit. La soluzione consiste nel trasformare l’eccesso di risparmio di alcuni Paesi, penso alla Germania od alla Cina, in consumi. Bisogna ripensare il paradigma distributivo. E’ necessario ricreare equilibrio tra Paesi che hanno capacità di risparmio a destabilizzare l’economia con i loro surplus, come si è visto in più occasioni in questi anni”.
La Germania non ci starà di sicuro.
“Considero la crisi greca un’occasione perduta per pensare in tempo ai rimedi necessari. Sono convinto che, di questo passo, siano sempre più probabili sbocchi traumatici della crisi verso un collasso che è stato solo rinviato”.
E la Cina?
“Per loro è necessario accelerare i consumi interni. In questi anni non l’hanno fatto, preferendo battere la strada di una progressiva finanziarizzazione di un apparato economico votato all’export. Con un aggravante: hanno puntato moto sugli investimenti, specie in infrastrutture, a scapito dei consumi. A tutto vantaggio dei profitti delle imprese. La prima ricetta, in Cina come altrove, è rilanciare i consumi, l’arma anti-deflazione per eccellenza. Ma per far questo è necessaria una politica adeguata basata sull’uso della leva fiscale: il quantitative easing da solo cabalizza i guadagni verso la rendita, non la classe media”.
Nel frattempo le cose vanno in maniera diversa. Non crede che ci sia un fil rouge che collega le crisi degli ultimi anni, da Atene a Shanghai?
“Penso di sì. E credo che i margini si vadano assottigliando. In questi anni la Cina, anche per il traino verso i Paesi Emergenti, ha svolto un ruolo prezioso in funzione anti-deflazione. Oggi più di ieri sarebbe perciò importante mettere in atto in provvedimenti che uno studente impari al primo corso di macroeconomia: una politica fiscale basata sulla domanda. Per quanto riguarda i tempi, temo che la crisi ci imporrà prima o poi un cambio di passo. E non sarà, temo, una passeggiata. Il mondo di oggi ha molte analogie con quello di cent’anni fa. Allora, il passaggio di leadership dal Regno Unito al nuovo ordine americano fu segnato da due conflitti mondiali. Speriamo che i processo di maturazione della nuova leadership cinese sia assai meno traumatico”.”