Borse al massimo, congiuntura economica in accelerazione. Ripiegano i movimenti populisti. E, soprattutto, si è sbloccato il dialogo tra la Francia e la Germania, cioè la premessa necessaria per far ripartire l’Unione Europea. Le difficoltà non mancano ma in questa cornice fanno meno paura. O no? “L’ottimismo è una buona medicina. Ma l’euforia non è giustificata. Anzi, un po’ di prudenza non è fuori luogo”. A frenare è Mario Noera, docente di Diritto ed Economia dei mercati finanziari in Bocconi, convinto che il futuro dell’Eurozona sia ancora in bilico. In attesa delle elezioni tedesche ma, soprattutto, del confronto in Bce, “l’unica istituzione davvero europea”: di qui al 2019, quando scadrà il mandato di Mario Draghi, si deciderà l futuro dell’Eurozona. La sua intervista a FIRSTonline.
Perché tanta cautela? La prova elettorale francese ha dimostrato che i punti di contatto sono più numerosi e profondi di quelli di contrasto. L’asse franco-tedesco, innanzitutto, può tornare a funzionare.
“Ma per fare un asse bisogna essere in due. Mi sembra che Angela Merkel abbia già opposto un rifiuto alla prospettiva degli eurobond e ad altre iniziative già avanzate da Macron. E non credo che prima del voto in Germania di ottobre possano maturare iniziative in senso opposto, anche a giudicare dagli umori dell’elettorato tedesco, tutt’altro che incline ad una svolta da quel che emerge dai test elettorali e dai sondaggi”.
La spinta propulsiva in arrivo da Parigi rischia perciò di essere di breve durata?
“Temo di sì. Alla prova dei fatti, in assenza di una sponda europea, Macron non potrà che praticare una politica di aggiustamenti fiscali imposti dal deficit accompagnata dalle riforme sul mercato del lavoro. Magari con modalità diverse sarà la riedizione delle politiche praticate negli ultimi anni su impulso tedesco, quelle che hanno fallito in Grecia e non hanno certo dato buoni risultati in Italia”.
Quali potrebbero essere le conseguenze?
“Temo che la luna di miele sarà di breve durata, anche perché Macron disporrà di una maggioranza debole per praticare una politica del genere. I suoi margini di manovra sono stretti: non vedo, insomma, molte ragioni per rallegrarsi”.
L’alternativa?
“In assenza di una svolta di politica economica si continuerà a ricorrere alla politica monetaria, cioè all’azione della Banca Centrale Europea, nonostante le pressioni contro la politica espansiva di Francoforte in attesa che si esauriscano gli acquisti del Quantitative Easing. Insomma, si va verso una situazione di stallo destinata a durare fino alle elezioni tedesche. Poi, in caso di improbabile affermazione di Martin Schultz, Berlino potrebbe rivedere la sua impostazione”.
Il vero campo di battaglia promette di essere la Bce. Cosa succederà a fine Qe? E come ci si arriverà? Al Parlamento olandese mercoledì Draghi è stato sottoposto ad una sorta di processo. Giovedì il suo vice, Victor Constancio, ha ammonito che una svolta restrittiva rischia di avere effetti drammatici per tutti.
“La Bce ha avuto il merito di risparmiare all’Europa una crisi molto grave. Ma ali occhi di una parte ella Germania c’è una controindicazione che Schaeuble indica con la schiettezza che lo distingue: gli acquisti di titoli hanno neutralizzato l’arma più potente di pressione per indirizzare le scelte degli Stati. Per colpa di Draghi, è la tesi, l’arma dello spread non funziona più. E’ questa la ragione principale dell’ostilità di Berlino nei confronti di Draghi: la sua politica ha inflitto un colpo mortale alla strategia tedesca. Ovvero: prima mettete i conti a posto, poi potremo andare avanti sulla strada della mutualizzazione”.
Messa così uno scontro sembra inevitabile. Come andrà a finire?
“Ci dobbiamo preparare ad un biennio difficile e conflittuale di qui al 2019, l’anno della scelta del successore di Draghi. Ci si avvia ad un lungo confronto fino ad un punto critico nella speranza che possa emergere un punto di svolta. Senza dimenticare le difficoltà crescenti del quadro internazionale dalla Brexit agli sviluppi che prima o poi prenderà la politica di Trump”.
In questo quadro è difficile immaginare una svolta italiana. O no?
“Direi impossibile. L’Italia in questi anni ha sostanzialmente fatto i compiti a casa. Se si guarda al surplus primario solo la Germania ha fatto più di noi. Ma l’esperienza dagli anni Novanta in poi, da quando cioè l’Italia chiude i conti con un avanzo prima degli interessi nell’ordine di 1-2 punti percentuali dimostra che questa ricetta è insufficiente a risolvere i problemi. Siamo come un’azienda con una buona redditività ma che chiude in rosso per il peso degli oneri finanziari”.
Qual è una terapia possibile?
“In una situazione del genere una banca creditrice propone di ristrutturare il debito salvaguardando i mezzi di produzione che consentono d sostenere la redditività aziendale. Invece, i assenza di una politica europea, il tentativo di risanamento italiano avviene a scapito negli investimenti circostanza che a sua volta provoca la caduta della produttività”.
Europa matrigna, dunque.
“Ma Europa necessaria. L’Italia ha più bisogno di Europa di tutti di gli altri. E credo che la retorica anti-euro volga ormai al tramonto anche se l’onda populista, in una situazione del genere può crescere ancora. La terapia possibile resta quella suggerita a suo tempo da Mario Monti: scorporare gli investimenti dal computo dei parametri sulla spesa”.
Al contrario si profila una stretta con la prossima legge di stabilità.
“Anche questo fa parte del conflitto tra e visioni diverse dell’Europa. Come la questione bancaria. La crisi del credito in italia è, al netto di possibili comportamenti illeciti, una conseguenza della crisi economica. Al fenomeno si è messo riparo con gli aumenti di capitale che hanno richiesto sforzi giganteschi. Ma se non riparte l’economia, prima o poi il problema tornerà”.
Insomma, passata la festa, non c’è da stare allegri.