Banche, lavoratori, imprese votate all’export. Il governo italiano sta preparando due decreti per tutelare tutte le categorie a rischio in caso di hard Brexit, cioè nel caso in cui la Gran Bretagna uscisse dall’Unione europea senza un accordo. Nonostante il voto del Parlamento di Londra favorevole da un rinvio per tentare un’ulteriore round di trattative, infatti, il caos sulla Brexit regna sovrano e tutti gli scenari sono ancora aperti.
Secondo una bozza riservata di cui dà notizia il Corriere della Sera, uno dei provvedimenti contiene “misure urgenti per garantire la stabilità finanziaria e l’integrità dei mercati”, tutelare “il sistema economico, bancario e assicurativo” nazionale e proteggere “investitori e clientela”, mantenendo “continuità nei servizi” e garantendo una “fuoriuscita ordinata dei soggetti del Regno Unito”, che smetterebbero “di operare nel territorio” italiano. Una rottura traumatica, che si vorrebbe attutire con una “fase transitoria”, dai sei ai diciotto mesi, “prima della cessazione di attività”.
La posta in gioco è davvero alta. In base ai rapporti del del Tavolo di coordinamento interministeriale istituito alla Presidenza del Consiglio – una sorta di unità di crisi che si è avvalsa anche di studi elaborati da altri istituti, come l’Ispi e il Centro studi di Confindustria – oltre al rischio collegato all’innalzamento dello spread, impossibile da prevedere, in caso di hard Brexit l’Italia dovrebbe fronteggiare anche un grave problema di occupazione. Le partecipate inglesi attive nel nostro Paese, infatti, impiegano 85mila persone e producono un fatturato annuo pari a circa 35 miliardi di euro, il 9,5% dei ricavi prodotti da tutte le multinazionali presenti in Italia.
Per quanto riguarda le banche, la bozza del primo decreto prevede uno “schema di concessione di garanzie dello Stato sulla cartolarizzazione di sofferenze”.
Ci sarebbe però anche un altro decreto, in corso di stesura, che punta a tutelare le imprese che esportano in UK. Su questo fronte il discorso è particolarmente ampio, perché la Gran Bretagna rappresenta per l’Italia un partner commerciale di primaria importanza.
Nel 2017 (ultimi dati disponibili) le aziende del nostro Paese hanno esportato nel Regno Unito prodotti per 23 miliardi di euro, circa il 5% dell’intero export italiano. Con la hard Brexit, la Gran Bretagna uscirebbe di colpo dal mercato unico europeo e gli scambi commerciali con Londra ricadrebbero sotto le regole – assai meno vantaggiose – della World Trade Organization. Questo significa che, almeno nell’immediato, molte aziende italiane rischiano di andare in crisi, perché fra l’introduzione dei dazi e la prevedibile svalutazione della sterlina i prodotti del nostro Paese diventerebbero improvvisamente molto meno competitivi.
Salterebbero anche le “indicazioni geografiche e di qualità”, che non verrebbero più riconosciute né tutelate: il problema – secondo Coldiretti – riguarderebbe circa il 30% dell’export agroalimentare Made in Italy, “che senza protezione europea rischiano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione da paesi extracomunitari”.
Stando ai report, il comparto più a rischio è quello di vini e bevande alcoliche: in questo settore l’Italia esporta nel Regno Unito prodotti per più di un miliardo di euro l’anno, circa il 12% del totale. Protagonista di un recente boom è il Prosecco Dop: il 50% delle bottiglie italiane destinate al mercato estero finisce in terra britannica, per un valore complessivo pari a 348 milioni di euro.
Sono in pericolo anche i settori dell’agri-food, che esporta in UK per 2,6 miliardi di dollari (il 7,8%) e del fresco, che sarebbero gravemente danneggiati dai ritardi causati dal ripristino dei controlli doganali. I prezzi dei latticini, invece, salirebbero del 35% a causa dei nuovi dazi.
Nel dettaglio, Coldiretti fa sapere che – in caso di no deal – scatterebbero dazi di 24,9 euro al quintale su tutti i tipi di formaggi grattugiati, compresi grana Padano e Parmigiano Reggiano, che da soli hanno prodotto un giro d’affari pari a 85 milioni di euro nel 2018.
La crisi, peraltro, arriverebbe dopo un anno record per le esportazioni alimentari italiane nel Regno Unito, che, secondo l’Istat, nel 2018 hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro.
Gli aumenti tariffari colpirebbero anche l’export di macchinari (4,3 miliardi di dollari), autoveicoli (2,9 miliardi di dollari), abbigliamento (2,1 miliardi) e mobili (1,3 miliardi).
Sempre sul versante industriale, ci sono poi da tutelare gli interessi di Leonardo, che fra Inghilterra e Scozia ha sei stabilimenti e dà lavoro a 7.100 persone, con un indotto di 2.300 imprese e ricavi per 2,3 miliardi di sterline. Con la hard Brexit, le forniture di materiali rischierebbero di subire ritardi, il che potrebbe causare dilazioni nei tempi di consegna previsti dai contratti.