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New York – Solomon R. Guggenheim Museum incontra Alberto Burri

Esplorando la bellezza e la complessità del processo creativo che sta alla base delle opere di Burri, l’esposizione elegge l’artista a protagonista della scena artistica del secondo dopoguerra, rivedendo la tradizionale letteratura sugli scambi culturali tra Stati Uniti e Europa negli anni ’50 e ‘60. Burri prese le distanze dalle superfici pittoriche e dallo stile gestuale propri sia dell’Espressionismo astratto americano sia dell’Arte informale europea, rimaneggiando pigmenti singolari, materiali umili ed elementi prefabbricati. Anello di transizione tra collage e assemblaggio, Burri raramente ricorreva all’uso della pittura e del pennello, prediligendo la lavorazione della superficie per mezzo di cuciture, combustioni e lacerazioni, per citare alcune delle sue tecniche. Ricorrendo a sacchi di juta strappati e rammendati, tele con gobbe in rilievo e plastiche industriali fuse, le opere di Burri alludono spesso a corpi umani, membrane e ferite, ma lo fanno attraverso un linguaggio totalmente astratto. La qualità tattile del suo lavoro anticipa il Postminimalismo e il movimento artistico femminista degli anni ‘60, mentre i suoi “monocromi materici” rossi, neri e bianchi sfidano i concetti di purezza linguistica e semplificazione delle forme tipici del modernismo formalista americano.
Raggruppando oltre 100 opere, molte delle quali mai esposte al di fuori dei confini italiani, la mostra sottolinea come Burri abbia attenuato la linea di demarcazione tra dipinto e rilievo plastico, creando una nuova poetica di dipinto-oggetto che influenzò direttamente il Neodadaismo, l’Arte Processuale e l’Arte Povera.

La mostra Alberto Burri: The Trauma of Painting è organizzata da Emily Braun, Distinguished Professor presso l’Hunter College e il Graduate Center della City University di New York, Guest Curator del Solomon R. Guggenheim Museum, con il supporto di Megan Fontanella, Associate Curator per le Collezioni e le Provenienze del Solomon R. Guggenheim Museum, e da Carol Stringari, Vice Direttore e Conservatore Capo della Solomon R. Guggenheim Foundation che ha collaborato al catalogo.

Richard Armstrong, Direttore del Solomon R. Guggenheim Museum and Foundation, ha commentato “Attraverso il sapiente lavoro del nostro team, guidato da Emily Braun, stiamo ponendo l’accento su aspetti inediti relativi agli innovativi e sperimentali processi creativi di Alberto Burri. Rianalizzare le mostre e le pubblicazioni del Guggenheim dedicate a Burri nel secondo dopoguerra ci permette di approfondire la nostra storia con questo importante artista. Siamo lieti di poter celebrare il centenario della nascita di Burri attraverso questa importante retrospettiva”.
Alberto Burri: The Trauma of Painting è stata resa possibile grazie al sostegno di Lavazza.
Si ringrazia inoltre anche The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts che ha sostenuto questa iniziativa e la generosità dimostrata dal Leadership Committee dell’esposizione, presieduto da Pilar Crespi Robert e dal consigliere d’amministrazione Stephen Robert. Un ringraziamento speciale va a Maurice Kanbar, nonché a Luxembourg & Dayan, alla fondazione Richard Roth, Isabella del Frate Rayburn, Sigifredo di Canossa, Dominique Lévy, Daniela Memmo d’Amelio, Samir Traboulsi, Alberto e Gioietta Vitale, e tutti coloro che preferiscono mantenere l’anonimato.
Ulteriori fondi sono stati messi a disposizione da Mapei Group, E. L. Wiegand Foundation, Mondriaan Fund, Italian Cultural Institute of New York, La FondazioneNY e il New York State Council on the Arts.
Il Guggenheim Museum ringrazia la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri per la collaborazione.
Francesca Lavazza ha affermato: “Il 1915, anno di nascita di Alberto Burri, rappresenta un momento cruciale nella storia italiana, ovvero l’entrata del paese nel primo conflitto mondiale, ma allo stesso tempo segna l’apertura della storica sede di Lavazza a Torino. Quest’anno, Lavazza è onorata di celebrare il proprio 120° anniversario sostenendo questa ampia retrospettiva dedicata ad uno dei precursori del Modernismo. Lavazza è al fianco del Guggenheim nell’esporre le opere di Burri e testimoniare la sua duratura influenza sul panorama artistico di entrambe le sponde dell’Atlantico”.
L’opera più conosciuta di Burri è la serie Sacchi realizzata con resti di sacchi di juta lacerati, rammendati e rattoppati, a volte combinati a frammenti di stracci sgualciti. Molto meno note al pubblico statunitense sono le altre serie dell’artista, trattate in maniera approfondita in questa esposizione: Catrami, Muffe, Gobbi (tele con gobbe in rilievo che si aggettano nello spazio), Bianchi (monocromi), Legni (combustioni di legni), Ferri (rilievi costituiti da protuberanze di pezzi prefabbricati di lamiera in metallo), Combustioni plastiche (fogli di plastica fusa), Cretti (effetto craquelure) e Cellotex (truciolato intagliato e decorticato).
L’esposizione si svela al pubblico lungo le rampe del Guggenheim sia cronologicamente sia attraverso le fasi artistiche di Burri, riproducendo il percorso dell’artista attraverso vari supporti, superfici e colori. Nel corso della propria carriera Burri dimostrò infatti un particolare interesse alla storia della pittura, forte di un profondo legame con l’arte rinascimentale dovuto alla sua terra natale: l’Umbria. La mostra sottolinea inoltre il dialogo con il minimalismo americano che ha plasmato le ultime opere dell’artista. Una sezione sarà dedicata all’imponente opera Grande cretto (1985–89), un memoriale in stile Land Art dedicato alle vittime del terremoto che nel 1968 colpì la cittadina siciliana di Gibellina.

Nato a Città di Castello (Perugia) nel 1915, Burri studiò medicina e prestò servizio in Africa settentrionale come ufficiale medico nell’esercito italiano durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1943, a seguito della cattura della sua unità in Tunisia, venne recluso nel campo di prigionia di Hereford (Texas), dove iniziò a dipingere. Nel 1946 Burri fece ritorno in Italia e si dedicò interamente all’arte, una decisione nata dall’esperienza diretta della guerra, della privazione e della catastrofica sconfitta dell’Italia. La sua prima personale, allestita nel 1947 presso la Galleria La Margherita di Roma, riuniva paesaggi e nature morte, ma a seguito di un viaggio a Parigi tra il 1948 e il 1949 iniziò a sperimentare con sostanze catramose, pomice macinata, vernici industriali e strutture metalliche per creare accrescimenti e squarci che devastassero l’integrità della superficie pittorica. Successivamente cercò di stravolgere la struttura profonda del quadro forando, esponendo e ricostituendo la superficie del supporto. Alla tradizionale, intonsa tela tesa, Burri preferiva assemblare le proprie opere partendo da brandelli di stracci, frammenti di impiallacciature di legno, fogli di alluminio saldati o strati di plastica fusa, il tutto in un processo che lo portava a cucire, fissare, saldare, pinzare, incollare e bruciare i materiali. Il suo lavoro rase al suolo e riconfigurò la tradizione pittorica occidentale, muovendosi al contempo verso una riconcettualizzazione delle dimensioni e del potere emozionale del collage modernista.
Burri sposò la ballerina Americana Minsa Craig e nel 1963 iniziò a trascorrere ogni inverno nella residenza di Los Angeles, ma ciò nonostante fu sempre considerato un artista italiano. Nel 1978 l’artista istituì la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri a Città di Castello. La Fondazione Burri è oggi attiva in due siti museali che espongono opere di Burri installate dallo stesso artista: il Palazzo Albizzini e gli Ex Seccatoi del Tabacco. La Fondazione ha gentilmente prestato due opere appartenenti alla propria esposizione permanente: Grande Bianco (1952) e Grande Bianco (1956). La prima opera rappresenta uno dei tre grandi collage tessili che Robert Rauschenberg aveva visto nello studio di Burri a Roma, durante una visita agli inizi del 1953. Tutte e tre queste grandi opere saranno riunite nell’esposizione.
In concomitanza con la mostra il Guggenheim Museum ha condotto un approfondito studio conservativo delle opere selezionate per la retrospettiva unitamente a numerosi altri lavori tratti dalle varie serie di Burri. Grazie ad un team multidisciplinare di curatori, esperti in conservazione e restauratori di dipinti, documenti, artefatti e tessuti, lo studio ha analizzato l’enorme varietà di originali e complessi materiali e processi creativi dell’artista.
Storia dell’esposizione Burri avviò la propria carriera a Roma ma allestì regolarmente alcune mostre negli Stati Uniti a partire dagli inizi degli anni ’50, sia a Chicago, presso la Allan Frumkin Gallery, sia a New York, presso la Stable Gallery e Martha Jackson Gallery. Nel 1953 James Johnson Sweeney, direttore e curatore del Guggenheim Museum, inserì Burri nell’importante esposizione Young European Painters: A Selection e nel 1955 scrisse la prima monografia sull’artista. Tra i vari premi ottenuti si annoverano il Terzo premio del Carnegie International di Pittsburgh (1959), il Premio dell’Ariete di Milano (1959), il Premio UNESCO alla Biennale di San Paolo (1959), il Premio della Critica per la personale delle proprie opere alla Biennale di Venezia (1960), il Premio Marzotto (1965) e il Gran Premio alla Biennale di San Paolo (1965). La prima retrospettiva Americana fu presentata dal Museum of Fine Arts di Houston (1963). Tra le mostre principali ricordiamo la retrospettiva al Musée National d’Art Moderne di Parigi (1972), la retrospettiva alla Frederick S. Wight Gallery dell’Università della California di Los Angeles (1977) e itinerante al Marion Koogler McNay Art Institute di San Antonio, Texas, e la retrospettiva del Guggenheim Museum (1978). Nel 1994 partecipò alla mostra The Italian Metamorphosis, 1943–1968 sempre al Guggenheim.

L’esposizione sarà accompagnata da una serie di eventi pubblici, tra cui visite alla mostra, film italiani neorealisti e due produzioni di Theater of War che prevedono la lettura di opere teatrali della Grecia Classica sul tema della guerra nell’ottica di creare spunti per una discussione sulle ferite visibili e invisibili inflitte dalla guerra. Il 12 novembre presso la Rotunda del museo, il Guggenheim presenterà inoltre una reinterpretazione ad opera della compagnia Tom Gold Dance di November Steps, un balletto del 1973 coreografato dalla moglie di Burri, Minsa Craig, con scenografie e costumi dello stesso artista e musiche di Toru Takemitsu. Tutti i dettagli saranno resi disponibili nei prossimi mesi all‘indirizzo guggenheim.org/calendar.

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