Libertà & Responsabilità
Scarsa empatia ma straordinarie doti di leader. Queste, apparentemente, le caratteristiche principali di Reed Hastings, il fondatore di Netflix: un imprenditore dalle grandi ambizioni ma che ragiona per piccoli obiettivi. Un capo che ama la disciplina ma ha in odio la burocrazia e le regole formali. Di questa visione personale del mondo e del lavoro d’impresa, Hastings ha fatto una vera e propria filosofia aziendale, redatta in un celebre documento power point che ha fatto furore nella Silicon Valley.
Il culture doc di Netflix, redatto dallo stesso Hastings assieme al suo staff delle risorse umane, vanta ad oggi 7 milioni di visualizzazioni su SlideShare, nonostante si tratti di 126 sobrissime slide senza animazioni né effetti speciali. Tutto si gioca su due termini chiave: libertà e responsabilità, viste come entità opposte ma complementari al pari dello yin e dello yang. La libertà in Netflix consiste in salari molto più alti della norma (percepibili tanto in denaro quanto in azioni di mercato e rinegoziabili ogni anno) e in ferie illimitate. Recentemente Hastings ha introdotto il congedo parentale retribuito di un anno per i neopapà, oltreché naturalmente per le neomamme. Le responsabilità, d’altro canto, vedono la compagnia prendere molto sul serio la metafora sportiva della squadra di serie A e fare dell’eccellenza della high performance un principio imprescindibile, tanto che non si fanno troppi complimenti a licenziare quei lavoratori che non corrispondono a un certo standard di resa.
Patty McCord, che è stata a capo delle risorse umane di Netflix per 14 anni e ha contribuito personalmente a redigere il culture doc, sostiene che due sono gli incubi dell’imprenditore Hastings: la burocrazia aziendale che regola le grandi compagnie e l’immaturità professionale che blocca o rallenta la produttività di una squadra. Il documento di Netflix è una lunga esaltazione strutturata su 7 punti chiave di come la libertà personale (sotto forma anche di laute retribuzioni e di vacanze pagate) determini una forma di maturità collettiva riservata a pochi eletti, adulti responsabili che non hanno bisogno di verifiche e protocolli per avere a cuore l’evoluzione del business.
Per tutti gli altri, sono previsti un’ottima liquidazione e un posto assicurato in un’azienda dove contano di più le feste a tema, il calcetto in ufficio, il sushi gratis e le magliette customizzate.
Todd S. Yellin, vice-presidente del settore Product Innovation dell’azienda di Los Gatos, in un’intervista al Business Week assimila la figura di Hastings a quella di Danny Ocean del film Ocean’s Eleven, ovvero colui che recluta solo i migliori del campo per fare grandi colpi e condividere equamente il lauto bottino. E il vero “colpo grosso” della banda di Hastings, dopo quello di “rapinare” le grandi catene multinazionali di videoteche, è stato proprio quello di puntare dritto all’industria di Hollywood.
So quello che vedi, so quello che vuoi
Libertà e responsabilità, a ben guardare sono le costanti di ogni operazione targata Netflix. La libertà di tenere un film quanto si vuole e di vedere (più o meno) tutto quel che si vuole crea un utente responsabile, pronto a rinunciare alla pirateria e al download illegale per un buon servizio lecito e alternativo.
Questa forma di libertà è ciò che ha in mente Hastings quando, nel 2008, decide di sviluppare in parallelo ai dvd per corrispondenza un servizio di streaming dotato di un’alta qualità e di un’ampia offerta. In pochi anni, riesce a firmare accordi con le grandi distribuzioni fino a realizzare un listino di quasi 100.000 titoli. Ma, rispetto alla pirateria, il valore aggiunto di Netflix non è solo nella possibilità di vedere tutto e di vederlo ora, ma anche nel dare all’utente la sensazione di sapere cosa vedere. Se c’è qualcosa che la banda di Hastings ha imparato dal conflitto con Blockbuster, è che vedere tutto significa saper archiviare bene i propri contenuti, così da renderli rinvenibili da chiunque possa usufruirne. E qui entra in scena un’altra grande leggenda di Netflix: l’algoritmo Cinematch.
Fra i vari software di filtraggio collaborativo utilizzati dai grandi siti retail, Cinematch è uno dei più celebri algoritmi atti a segnalare ogni volta cos’altro potrebbe piacerti del catalogo in base alle tue scelte precedenti. Rispetto ad Amazon o a iTunes, Netflix ha cominciato tardi a raccogliere feedback dagli utenti e a fornire segnalazioni e suggerimenti personalizzati. Ma da quando lo ha fatto, all’incirca dal 2000, ha lavorato duramente alla costruzione di un vero e proprio oracolo, una macchina in grado di prevedere i gusti dei suoi abbonati.
Questa ossessione per un pubblico sempre più motivato a consumare film e soddisfatto dai consigli automatici del servizio, ha fatto sì che Hastings, nel 2006, mettesse a disposizione i dati raccolti negli anni per lanciare una competizione aperta, volta a migliorare il tasso di predizione dell’algoritmo di ben 10 punti percentuali.
Il Netflix Prize da 1 milione di dollari è stato vinto tre anni dopo da un folto gruppo di ingegneri informatici provenienti da varie realtà, anche se Netflix pare non aver mai incorporato il nuovo algoritmo perfezionato, dichiarando di voler andare al di là delle previsioni sulle stelline attribuite dagli utenti a un dato film, e di riuscire a immaginare i gusti anche travalicando i confini normalmente imposti dai generi.
Per realizzare tutto questo, occorre strutturare un database estremamente complesso, dove ogni film e serial televisivo viene meticolosamente analizzato e marcato con tag estremamente specifiche.
Alexis Madrigal, un reporter del The Atlantic, si è lanciato nell’impresa di codificare la grammatica di Netflix e il risultato, contro ogni più assurda previsione, è che il sistema prevede 76.897 combinazioni di film. Una mole vertiginosa di micro-sottogeneri alternativi (ribattezzati altgenres) con cui Netflix non solo ricostruisce e riorienta i nostri gusti, ma concepisce i plot più redditizi per le sue future produzioni.
L’incredibile scoop ha aperto a Madrigal le porte dell’azienda di Los Gatos e suscitato l’attenzione di Todd Yellin.
Taggare ogni film è stata infatti una sua idea, articolata in un documento di 24 pagine intitolato senza falsa modestia la “Teoria dei Quanti di Netflix”: un lavoro certosino di classificazione delle trame dei film che farebbe impallidire i formalisti russi e i più brillanti studiosi di narratologia. Ogni minuzia viene classificata e articolata con un tasso di incisività da 1 a 5: dal lavoro dei personaggi protagonisti alla tipologia del finale, dall’epoca e dal luogo di ambientazione ai capi di abbigliamento indossati, senza contare che ogni regista o interprete celebre possiede una propria sotto-categoria.
Alcune delle combinazioni possibili sono talmente assurde, che neanche un regista folle appassionato di b-movies potrebbe prendervi ispirazione. Madrigal ne riporta alcuni esempi, come “Giallo per famiglie ispirato a un romanzo contemporaneo ambientato nella preistoria” o “Action movie strappalacrime basato su un romanzo di successo per bambini”. Ma, se si considera che l’algoritmo rimuove automaticamente quei generi che non corrispondono ad alcun film, possiamo farci una vaga idea di quanto questi dati rappresentino una miniera d’oro per un qualunque sceneggiatore o produttore di Hollywood.
Streaming of consciuosness
Ed è eccoci arrivati all’ultimo (per il momento) capitolo della storia. Quello che racconta il passaggio alla produzione di contenuti originali per l’azienda di Hastings in grado di competere con i grandi network statunitensi. Il 2013 è l’annus mirabilis per Netflix: i suoi titoli sono saliti del 240% in un anno, con un reddito pari a 1,3 miliardi di dollari; nel mondo, ha raggiunto più di 40 milioni di abbonati, di cui 33 solo negli Stati Uniti; la sua serie televisiva House of Cards (frutto di un investimento da 100 milioni di dollari) ha raccolto critiche entusiastiche e premi nelle maggiori competizioni come gli Emmy e i Golden Globe. A due anni di distanze gli abbonati nel mondo sono saliti a 62 milioni e l’investimento in produzioni originali nel 2015 sfiora i 10miliardi di dollari. Una cifra da capogiro anche per un grande network televisivo. Suburra sarà la prima serie TV prodotta da Netflix in Italia.
House fo Cards resta comunque il passo decisivo per immaginare il futuro dell’azienda. Netflix non ha mai nascosto, anzi, ha fatto vanto del fatto che l’elaborazione del progetto House of Cards sia interamente frutto di uno studio meticoloso dei dati di consumo dei propri utenti, dai quali emergeva il sicuro successo di un altgenre tutto particolare come: “Thriller politico con Kevin Spacey diretto da David Fincher”. Non solo. Kelly Merryman, vice-presidente dell’acquisizione contenuti, ha dichiarato ufficialmente che sono i dati provenienti dalla pirateria sulle serie maggiormente scaricate a direzionare l’acquisto di nuovi prodotti da inserire nel pacchetto Netflix.
Da parte sua, Hastings ha dichiarato: “Certo, si fa ancora utilizzo dei torrent per scaricare illegalmente film un po’ in tutto il mondo, ma penso che molti di questi servano solo ad aumentare la domanda di film. La pirateria aumenta la domanda, così che quando il servizio raggiunge un nuovo paese, le persone scelgono il prodotto più semplice che ha un costo contenuto”. Questo sdoganamento della pirateria, assieme a un utilizzo dichiarato e trasparente dei big data degli utenti, è parte integrante della filosofia user-oriented con la quale Netflix ha modificato le abitudini di consumo cine-televisivo di mezzo mondo.
Niente più palinsesto. Alla libertà totale di vedere tutto e subito (inclusi tutti gli episodi stagionali di una serie televisiva) fatta respirare dalle piattaforme illegali, Netflix assomma il valore aggiunto della qualità di trasmissione e la presunzione di conoscere meglio di te i tuoi gusti cinematografici.
L’archivio di film e programmi televisivi di Netflix ammonta a oltre 3.14 petabytes di informazioni (ironicamente, tutti caricati su server di Amazon), per un catalogo vastissimo che mescola il presente e il passato dei più grandi studios. Matteo Bittanti, professore al California College of the Arts di San Francisco, chiama il modello di distribuzione digitale di Netflix una filosofia buffet, opposta a quella à la carte di iTunes: “Netflix ha compreso che l’unico modo per sopravvivere e competere con iTunes et similia nonché arginare l’ascesa del video-on-demand consiste nell’offrire contenuti inediti, non reperibili altrove”.
D’altra parte, ha anche capito che per competere con i grandi network televisivi via cavo che producono serie tv di incredibile successo come AMC e HBO deve far sì che tali contenuti inediti siano, ancora una volta, in grado di competere, per mezzi e risultati, con le migliori produzioni hollywoodiane.
Ma, proprio come ci insegna la storia qui raccontata, per Netflix battere un Blockbuster è un’impresa realizzabile.