Quanto incide la scuola su crescita ed economia? “Nello specchio della scuola”, Patrizio Bianchi spiega che l’Italia è il paese d’Europa con i più bassi livelli di istruzione, i più alti tassi di dispersione scolastica e il più alto numero di NEET. L’Italia è anche il paese che è cresciuto meno negli ultimi venti anni e si è presentato all’appuntamento con la pandemia con un tasso di crescita annuale dello 0,3 per cento su base nazionale.
Ragioni per cui, per Patrizio Bianchi, un ritorno alla normalità pre-covid non può e non deve più bastare. “Non possiamo accontentarci di tornare alla situazione precedente, ma diviene ormai indifferibile avviare una vera fase costituente per la scuola, per aprire una nuova stagione in cui la scuola torni a essere, o meglio divenga, il motore di una crescita di un paese che da troppo tempo è bloccato”.
Sottolinea Bianchi nel testo come, mentre a livello internazionale si veniva delineando un profondo cambiamento strutturale, che ha aperto la via a una nuova economia basata sulla digitalizzazione della produzione e degli scambi, il nostro paese sprofondava nella crisi fiscale dello Stato, con un deficit e un debito il cui peso sottraeva risorse a educazione e ricerca e, quindi, a quell’innovazione necessaria per capire e affrontare la trasformazione dell’economia e della società.
È in questa fase che emerge con forza il bisogno di nuove competenze, nuove abilità, nuove capacità critiche per comprendere questi “straordinari processi di riorganizzazione dell’economia” e della società e, nel contempo, di “nuove modalità di organizzazione dei processi educativi” non solo per i ragazzi ma anche per gli stessi adulti.
La nuova scuola quindi deve predisporre competenze e abilità rivolte a comprendere queste nuove realtà complesse e a predisporre le persone ad affrontare un cambiamento continuo. Il rischio, ribadisce chiaramente Bianchi, è che la pandemia diventi la “coperta sotto la quale nascondere tutti i problemi accumulati nel tempo”, problemi e inefficienze che hanno ostacolato la possibilità di cogliere i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie.
L’Unione europea aveva considerato come obiettivo fondamentale per una «società della conoscenza» la presenza di almeno il 40 per cento di giovani fra i 30 e i 34 anni laureato. Nel 2019, in Italia, la quota di giovani laureati non cresce e rimane bloccata al 27,6 per cento, ovvero sotto di quasi 13 punti percentuali rispetto all’obiettivo fissato. L’Unione europea ha già superato questo traguardo mentre l’Italia resta indietro ed è avanti solo alla Romania.
Valori molto bassi e assolutamente inaccettabili si riscontrano anche nel momento delicatissimo della transizione dalla scuola al lavoro.
Sottolinea inoltre Patrizio Bianchi il fatto che il livello di istruzione degli emigranti odierni è molto più alto di coloro che rimangono in Italia, tanto che il tasso di emigrazione è doppio fra i laureati e i diplomati rispetto a chi non ha un titolo di studio, evidenziando come la nuova emigrazione italiana dreni soprattutto fra coloro che hanno le competenze più necessarie per lo sviluppo.
Alto permane ancora, purtroppo, il tasso di dispersione scolastica. Anche se diminuito nel tempo, rimane – 13,3 per cento – tuttavia al di sopra del limite fissato come obiettivo dall’Unione europea (10 per cento entro il 2020). Va inoltre sottolineato che questo è il tasso di dispersione esplicito, ovvero quello visibile e numerabile. Bisogna considerare anche la dispersione implicita, ovvero coloro i quali, pur conseguendo un titolo o un diploma, egualmente non possiedono le competenze adeguate.
Il 19 giugno 2020 la Commissione europea pubblica il Digital Economy and Society Index (DESI) ovvero l’indice composto che misura le capacità e le competenze di cui dispone un paese in ambito digitale.
Se nella connettività l’Italia si colloca appena sotto la media europea, è proprio nella disponibilità di competenze e capitale umano adeguato che risulta definitivamente ultima fra i paesi europei.
E quindi, per Bianchi, non è casuale che il nostro paese, “con i più bassi tassi d’istruzione d’Europa”, sia anche il paese che negli ultimi venti anni, ovvero gli anni dell’economia della conoscenza, è quello cresciuto meno di tutti.
Mentre in Germania si affrontavano crisi e rilancio dell’economia investendo in educazione, in Italia si effettuavano tagli proprio all’istruzione, oltre che a sanità e welfare. Ed è in questi tagli che si colloca, per l’autore, la radice del ritardo italiano.
La riduzione della spesa per l’educazione proprio nel momento del rilancio e del passaggio alla digitalizzazione, ha inciso sullo sviluppo delle tecnologie e soprattutto sulle competenze.
Non si tratta quindi, sottolinea Bianchi, di ritrovare la quotidianità della scuola dopo la sospensione dovuta alla pandemia, ma “di ridisegnare una scuola che sia fattore di sviluppo per l’intero paese”.
Una nuova scuola i cui ambiti di competenza possono essere sintetizzati con l’acronimo CAMPUS (Computer/Coding, Arte, Musica, Polis, Sport), a sottolineare come “la nuova scuola debba essere un campo in cui allenarsi insieme a una vita in cui l’obiettivo fondamentale sia costruire comunità solidali e coese”.
L’idea alla base dei Patti educativi di comunità, indicati nel Rapporto conclusivo come la via maestra da seguire, è quella di aprire alla scuola reali spazi di arricchimento formativo e rendere la comunità corresponsabile dell’educazione dei giovani, dando piena attivazione alla legge sull’autonomia. Cruciale diventa anche il rapporto con l’università e i centri di ricerca, che devono avere la possibilità di costruire relazioni più strette con la scuola.
Migliorare le conoscenze e le competenze nelle materie scientifico-tecnologiche, cioè STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).
Smetterla di inseguire l’alternanza scuola/lavoro ma andare verso forme di integrazione in cui reciprocamente le imprese, le scuole, gli enti di ricerca si rendano fra loro complementari.
Sono già numerose le iniziative indicate come “scuola-fuori-dalla-scuola” ma, affinché il cambiamento abbia senso, bisogna ci sia una loro diffusione capillare.
È necessaria anche una rivalutazione della figura dell’insegnante e della sua centralità nell’educazione e formazione degli alunni come un loro adulto di riferimento.
Così è riemerso anche il tema da tempo rinviato dell’adeguamento del numero dei docenti e del personale tecnico. Anche una volta però, sottolinea amaramente Patrizio Bianchi, una materia, che avrebbe dovuto essere il centro di una programmazione di lungo periodo, è stata affrontata in termini emergenziali.
Molte delle proposte avanzate dal Comitato sono state poi adottate dall’amministrazione in diversi decreti successivi. Tuttavia, “l’aver scelto di attivare di volta in volta i diversi provvedimenti ha fatto venir meno la visione complessiva”.
È questo quindi il momento di scegliere se attuare un vero cambiamento oppure lasciare che questa diventi l’ennesima occasione perduta.
La pubblicazione del libro di Patrizio Bianchi con il Mulino a ottobre 2020, a tre mesi dalla consegna del Rapporto finale della Commissione da lui coordinata, libro nel quale elenca le medesime criticità e propone le stesse soluzioni indicate nel suddetto rapporto, e soprattutto il modo in cui li espone, lascia sottintendere al lettore che il treno del cambiamento, ahinoi, potrebbe essere già passato e che, ancora una volta, l’Italia si è fatta trovare impreparata, o distratta.
Bibliografia di riferimento
Patrizio Bianchi, Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia, ilMulino, Bologna, 2020
L’autore
Patrizio Bianchi: Professore di Economia all’Università di Ferrara, rettore e docente per la Cattedra UNESCO in Educazione, crescita e uguaglianza, assessore alla regione Emilia-Romagna a Scuola, educazione, università, ricerca, formazione e lavoro. Coordinatore del Comitato per il rilancio della scuola dopo la COVID-19.