In Italia c’è almeno una certezza: la crescita dell’economia è bassa. Su questa analisi c’è ormai concordanza. C’è solo chi si ostina a dire che le cose non vanno così male perché in Italia non c’è una rivolta sociale come in Spagna o in altri paesi. Ed è così che si scambia la rassegnazione per soddisfazione.
In realtà, l’Italia durante la crisi ha conosciuto una caduta di reddito e di produzione fra le maggiori in Europa, ma la ripresa successiva è stata tra le più basse. L’indice di produzione industriale è caduto del 28% circa dal picco toccato a metà del 2007 fino ai primi mesi del 2009, poi è rimbalzato di solo il 12% (ai primi mesi del 2011), sicché è ancora sotto del 19% rispetto ai massimi precedenti.
Perché questi cattivi risultati e cosa si può fare? Le esportazioni si stanno riprendendo abbastanza bene, ma da sole non riescono a far recuperare il buco del passato. È la domanda interna che è crollata e non accenna a riprendere. Il calo della domanda interna è legato ai consumi che latitano. E non potrebbe essere altrimenti. Secondo il recente rapporto dell’Istat (Rapporto annuale 2010) le famiglie hanno perso il 3,1% del potere d’acquisto reale nel 2009 e hanno recuperato appena l’1% nel 2010. Le famiglie italiane sono più povere e non consumano.
L’impoverimento delle famiglie italiane deriva essenzialmente dalla perdita del lavoro dei giovani e delle donne a contratto a tempo determinato. Queste persone non hanno alcun ammortizzatore sociale (ossia nessuna indennità di disoccupazione) e quindi la loro uscita dal lavoro comporta una perdita netta di reddito per le famiglie. L’Italia negli ultimi anni ha proceduto a liberalizzare il mercato del lavoro, che è diventato flessibile, ma non ha modificato il sistema di ammortizzatori sociali. Questi restano ancorati al sistema del lavoro a tempo indeterminato, attraverso la Cassa Integrazione Guadagni. Ma ormai le imprese hanno un nucleo centrale ridotto di lavoratori a tempo indeterminato, mentre allargano e restringono la loro capacità produttiva facendo ricorso al lavoro a tempo determinato. Anche altri paesi hanno un simile mercato del lavoro, ma essi hanno anche ammortizzatori sociali rivolti a chi ha un lavoro flessibile. È così che nel 2010 il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni si è ridotto, mentre la disoccupazione giovanile è esplosa, a riprova che il nostro sistema di ammortizzatori sociali non funziona più.
Il governo ha varato una timida Cassa Integrazione in deroga che avrebbe dovuto riguardare le figure di lavoro flessibili, ma questi interventi sono stati limitati e relegati nelle politiche regionali senza grandi effetti. È ora di istituire una vera indennità di disoccupazione, come esiste in tutti i paesi europei che sono riusciti a recuperare reddito e domanda dopo la crisi. Certo, un’indennità di disoccupazione costa. Ma basterebbe a finanziarla il ripristino dell’Ici sulla prima casa che è stata abolita solo per vincere le elezioni. Aver ridotto le tasse non ha comportato un sostegno alla domanda interna, mentre l’assenza di sussidi a chi perde il lavoro ha depresso i consumi. La prova sta anche nel fatto che nel 2010 la propensione al consumo delle famiglie italiane è scesa al 9,1% (era il 10,5% nel 2009), mentre la percentuale delle famiglie che ha potuto risparmiare è aumentata dal 18,3% nel 2009 al 19,1% nel 2010. Segno che l’aver abbassato le tasse ha reso più ricchi quelli che possono risparmiare, mentre l’assenza di ammortizzatori sociali per chi ha perso il lavoro ha impoverito chi consuma e spende una parte considerevole del suo reddito.
Se vogliamo far riprendere la crescita del nostro paese, occorre una politica di sostegno a chi perde il lavoro, ciò che è utile economicamente e giusto socialmente.