Alle spalle dei Golden State Warriors, nella Western Conference, c’è sempre la solita grande lotta, con un livello medio superiore a quello delle squadre dell’est, grazie alla presenza di team come Spurs, Thunder, Clippers, oltre ovviamente a Steph Curry e compagni. A differenza delle ultime stagioni, però, quest’anno il divario sembra essere molto meno ampio, questo per via del miglioramento dall’altra parte di squadre come Boston e Detroit, il ritorno, almeno in parte, di Chicago, Miami e Indiana e le conferme di Toronto e Atlanta, tutte naturalmente alla caccia dei Cleveland Cavs.
GOLDEN STATE WARRIORS
Come detto, in testa ci sono sempre gli incredibili Golden State Warriors del marziano Steph Curry, ma subito dietro le rivali non mancano di certo, a cominciare dai soliti San Antonio Spurs, quelli più solidi e continui, da molti definiti come i veri candidati ad un posto nelle Finals di giugno. Considerazioni che possono far sorridere, solo pochi giorni dopo la clamorosa debacle subita dalla squadra texana per mano dei Warriors (120-90 il finale, con 37 punti di Curry, ormai la norma per lui, rimasto in panchina per tutto l’ultimo quarto visto l’ampio vantaggio).
Anche se era solo una delle 82 gare stagionali, il primo incrocio tra le due formazioni era atteso con curiosità da molti appassionati, per mettere per l’ennesima volta alla prova i campioni in carica contro un avversario tra quelli top, e alla fine il risultato, ma soprattutto l’andamento di tutto l’incontro, è stato clamoroso e francamente impensabile alla vigilia. Ribadito per l’ennesima volta che bastano due tiri che prendono il ferro ed escono nel finale di una gara di playoff per vanificare tutto quello fatto nei mesi precedenti, Curry e soci hanno lanciato un altro chiaro messaggio a tutta la lega dopo aver umiliato anche LeBron James e i suo Cavs, i più forti al momento sono loro, e se le loro percentuali non dovessero calare risulta difficile pensare a chi possa batterli per quattro volte in una serie playoff.
SAN ANTONIO SPURS
Ko con i Warriors a parte, l’ottimo giudizio su San Antonio non può cambiare (nella notte hanno rifilato 31 punti di scarto agli Houston Rockets), visto che stiamo parlando di una squadra fin qui autrice di una regular season straordinaria, arrivata allo scontro con Golden State indietro di sole due sconfitte e che adesso si trova con un record di 39-7, numeri impressionanti offuscati solo in parte da quello che stanno facendo la banda di fenomeni davanti. L’uscita al primo turno degli scorsi playoff per mano dei Clippers poteva sembrare la conclusione (questa volta per davvero) dell’era dei Big Three, al secolo Duncan, Parker e Ginobili, invece anche quest’anno le rivali dovranno vedersela con loro e con la loro voglia di fare nuovamente la storia.
Ma, sebbene il trio continui a dare il suo decisivo apporto, è chiaro ed essenziale che le future vittorie dei texani dipenderanno molto dalle prestazioni degli altri big, da Leonard (come ha già fatto vedere nelle Finals 2014 e che in questi primi mesi viaggia a 20 punti di media) a Green, e soprattutto Aldridge, il colpo ad effetto della scorsa estate per provare a riprendersi il titolo. Prima parte di stagione in cui gli Spurs hanno messo in mostra anche Boban Marjanovic, gigante serbo di 223 centimetri (il più alto di sempre della storia della franchigia), preso in estate dopo le ultime due ottime annate con la maglia della Stella Rossa e all’inizio visto dai tifosi più come un’attrazione che altro, ma che invece, partita dopo partita e con l’aumentare dello spazio concessogli in campo da Popovich, sta dimostrando di essere un giocatore di valore, con importanti punti nelle mani e una tecnica e agilità inusuali per uno della sua stazza.
OKLAHOMA CITY THUNDER
Saldi in terza posizione ci sono gli Oklahoma City Thunder, arrivati a questo punto della stagione senza troppi picchi e con qualche vittoria un po’ troppo sofferta, ma chiamati per l’ennesimo anno a fare il passo decisivo e a tramutare il loro enorme potenziale in qualcosa di molto più concreto. Parliamoci chiaramente, non vincere neanche un titolo con Durant e Westbrook tra le proprie fila sarebbe uno spreco troppo grande e un peccato per i due giocatori, arrivati entrambi in Oklahoma nel 2008 e quindi alla loro ottava stagione insieme in maglia Thunder. Per la coppia ventisettenne, però, il tempo inizia a passare e finora il risultato più importante rimangono le Finals del 2012, quando tra loro e l’anello ci si misero di mezzo i Miami Heat di LeBron James. Poi “solamente” altre due finali di conference (nel 2011 e nel 2014) e la stagione scorsa letteralmente buttata via, senza nemmeno il raggiungimento dei playoff, con relative delusioni, polemiche e il cambio dell’allenatore (quando in realtà la spiegazione stava semplicemente nelle 55 gare saltate da Durant per infortunio).
Anche in questa stagione i due leader stanno mantenendo le loro altissime medie, con 27 punti a partita per l’mvp del 2014 e 24 per Westbrook, con quest’ultimo che, nelle serate in cui il compagno in maglia 35 è assente, si carica la squadra sulle spalle e diventa totalmente inarrestabile per le difese avversarie. Ma oltre a loro due, e al terzo violino Ibaka, i Thunder possono disporre di un’enorme capacità offensiva in praticamente tutti gli elementi del loro roster, con tanti punti nelle mani anche nei giocatori della panchina, Kanter e Waiters su tutti (mentre Morrow, elemento spesso importante nella passata stagione, in questi mesi ha visto drasticamente calare il suo utilizzo e di conseguenza anche la sua fiducia, discorso analogo per l’altro tiratore Singler). Spesse volte si è dimostrata non essere la squadra più affidabile e dove possa arrivare è sempre difficile da pronosticare, di certo una finale di conference Warriors-Thunder sarebbe quella più spettacolare.
LOS ANGELES CLIPPERS
In quarta posizione troviamo i Los Angeles Clippers, sempre in bilico tra la convinzione che possa essere l’anno buono e la sensazione di un’altra stagione con il solito finale flop ad attenderli. Paul e compagni finora non hanno impressionato come ci si poteva attendere e contro le rivali di pari livello sono quasi sempre andati ko, questo nonostante la formazione californiana abbia a disposizione un secondo quintetto che sarebbe quello titolare in metà degli altri team della lega e in generale un roster formato da un mix di atletismo (Griffin e Jordan), tiratori (Redick e Crawford) ed esperienza (Pierce e Prigioni), senza dimenticare Austin Rivers. Tra i problemi sicuramente c’è Lance Stephenson, potenzialmente un fattore, ma che dopo il suo addio ai Pacers ha iniziato una preoccupante involuzione che lo ha portato a vivere fin qui un’altra stagione molto negativa.
Sorti dei Clippers che passeranno anche questa volta dalle giocate di Chris Paul e Blake Griffin, con CP3 che quest’anno compirà 31 anni e la frustrazione di finire la carriera senza mai essersi nemmeno avvicinato a quel titolo tanto sognato che inizia a salire, mentre il compagno che, oltre ad essere devastante in campo, ha pensato bene di esserlo anche fuori, prendendo a pugni durante una lite un magazziniere (suo amico) della squadra durante la trasferta di qualche giorno fa a Toronto. Il tutto consumato prima dentro e poi all’esterno di un ristorante, col risultato che il magazziniere ha avuto ovviamente la peggio ed è finito all’ospedale, ma anche per Griffin la beffa di una mano fratturata (già operata subito dopo l’accaduto) che lo terrà fuori causa per 4-6 settimane (in attesa se ci saranno provvedimenti anche da parte della società che ha già emesso un comunicato piuttosto duro sulla questione), allungando così la sua assenza dal parquet iniziata dopo Natale a causa di un problema alla coscia. Ma al di là di qualche problema di troppo dentro e fuori dal campo, i Clippers rimangono una delle migliori squadre della lega e sicuramente una di quelle da evitare a tutti i costi nei playoff, anche se ti chiami Curry, Durant o Parker.