Ad ovest, dietro le prime quattro della classe (Golden State, San Antonio, Oklahoma e Los Angeles Clippers), la lotta per un posto ai playoff si potrebbe estendere praticamente a tutte le restanti squadre (eccezion fatta per i Los Angeles Lakers, ormai tagliati fuori), anche se realisticamente il lotto delle formazioni che da qui alla fine si contenderanno l’ultimo posto utile dovrebbe fermarsi ai New Orleans Pelicans (al momento in dodicesima posizione, a sei vittorie, ma con tre partite in meno, di distanza dai Portland Trail Blazers, ottavi), mentre Phoenix Suns e Minnesota Timberwolves si trovano esattamente con dieci vittorie da recuperare su Portland, che ad una trentina di gare dal termine, e con diverse formazioni davanti, sembrano ormai francamente incolmabili.
Ultimo posto utile perché, sebbene manchi ancora più di due mesi alla fine della regular season, anche i Memphis Grizzlies, Dallas Mavericks e Houston Rockets (nonostante abbiano un record sì migliore, ma non così distante dalle altre) non dovrebbero avere grossi problemi a finire nelle magnifiche otto, riducendo quindi la battaglia a 5 team: Portland, Utah, Sacramento, Denver e New Orleans. Ma andiamo con ordine cercando di fare più chiarezza possibile, anche se bastano 4/5 giorni per cambiare determinate gerarchie. Detto che il primo posto dovrebbe essere una corsa a due tra Golden State e San Antonio, con finora i Warriors leader indiscussi, Oklahoma in agguato al terzo posto ma con qualche sconfitta di troppo per poter impensierire Curry e compagni e i Clippers subito dietro, poi troviamo Memphis, Dallas e Houston, al momento in quest’ordine, ma con record simili e posizioni che possono rapidamente cambiare.
Tutte e tre nettamente più attrezzate rispetto a quelle che le seguono, difficilmente però una di loro riuscirà a scalzare i Clippers dalla quarta posizione, sono accomunate dal fatto di non essere partite con velleità di titolo, e in generale con qualcosa in meno rispetto alle ultime stagioni, ma, a meno di cataclismi, il loro posto ai playoff dovrebbe essere assicurato e lì potrebbero dar fastidio anche alle avversarie più quotate. Al momento al comando del terzetto ci sono i Grizzlies, grazie soprattutto alle numerose vittorie arrivate nell’ultimo periodo, cancellando definitivamente il brutto avvio di stagione, che aveva fatto pensare ad un netto calo (che comunque s’intravede ancora) rispetto agli anni recenti, durante i quali il gruppo guidato da Conley, Randolph, Gasol si era trasformato da tosto e cattivo in vincente.
Gruppo che è sempre quello, con gli innesti di Matt Barnes e soprattutto la rinnovata energia di Mario Chalmers, ma cosa fondamentale il fattore campo del FedEx Forum è tornato ad essere spesso determinante. Per Dallas il discorso può essere simile, con i Mavs che si erano affacciati a questa stagione dopo le partenze di Rondo, Ellis e Chandler e soprattutto dopo l’affaraccio DeAndre Jordan, il centrone dei Clippers prima arrivato in Texas, poi svanito e infine tornato indietro in California, non certo le migliori premesse per far bene. E invece i nuovi arrivati, da Deron Williams a Wesley Matthews, andati ad aumentare la pericolosità perimetrale di una formazione che già dispone di armi come Nowitzki e Parsons, ma soprattutto l’arrivo di Pachulia sotto il ferro, si stanno dimostrando scelte azzeccate e stanno dando il loro prezioso contributo, forse inatteso.
Sorprendente e ammirevole soprattutto Zaza Pachulia, il georgiano ex Milwaukee che alla sua tredicesima stagione oltreoceano sta vivendo probabilmente il suo anno migliore e, insieme a tratti anche all’atletismo del suo cambio McGee, non stanno facendo rimpiangere troppo Jordan e il suo retrofront. Non si possono non spendere due parole su Dirk Nowitzki, che ha quasi 38 anni e dopo un Europeo vissuto non certo da protagonista (e al termine del quale ha dato il commovente addio alla sua nazionale), per l’ennesima stagione sta dimostrando di essere tutt’altro che un giocatore finito e che invecchiare come lui dovrebbe essere il sogno di qualsiasi sportivo.
Wunder Dirk non potrà più essere quello delle sue stagioni migliori, ma intanto il tedescone sta in campo ancora 30 minuti di media a partita, mettendo a referto più di 17 punti, leader senza discussioni di un gruppo che invece sta avendo molto meno da Chandler Parsons, il grande colpo di due anni fa ma che in questi mesi non va oltre i 12 punti ad incontro. Dallas comunque formazione solida, cosa che non si può dire degli Houston Rockets, potenzialmente più forti e con un roster più lungo dei rivali, ma che danno il più delle volte l’idea di una squadra che può esplodere (in senso positivo) o implodere, con la stessa naturalezza e velocità. Reduce dall’ottimo finale della scorsa stagione, con il secondo posto in regular season e l’eliminazione soltanto in finale di conference per mano di Golden State, in estate è stato lasciato andare Josh Smith ed è arrivato il sempre utile Ty Lawson, quindi niente colpi ad effetto per provare a migliorare ulteriormente la squadra, ma era comunque lecito attendersi un cammino con meno passi falsi rispetto a quello fatto in questi primi tre mesi da Harden e compagni.
L’inizio, soprattutto, è stato a dir poco pessimo, condizionato anche dai molti infortuni che hanno colpito la formazione texana, e in particolare Motiejunas, assenza del lituano che diventa ancora più importante quando non c’è nemmeno Howard sotto il ferro, con Superman autore fin di una stagione abbastanza regolare, ma spesso alle prese con qualche solito fastidio fisico. Nell’ultimo periodo i Rockets hanno ripreso una marcia sicuramente più consona ai loro obiettivi, ma faticano a convincere del tutto e anche il gioco spesso lascia molto a desiderare, rimanendo troppo Harden dipendenti (non che sia una brutta cosa eh), con “il barba” grande protagonista anche di questa stagione e che finora tiene una media di 28 punti a partita.