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Nba al giro di boa: super Gallinari ma dominano sempre i Warriors

Con le partite giocate negli ultimi sette giorni, la stagione NBA è entrata ufficialmente nella sua seconda parte, dove si inizia a fare sul serio e a dare un’occhiata più attenta alle varie posizioni di classifica; ancora tre settimane, poi qualche giorno di pausa per l’All-Star Game 2016 (a Toronto nel weekend del 14 febbraio), infine il rush finale verso la fine della stagione regolare, fissata per il 13 aprile, e l’inizio degli attesi playoff. Ma per i discorsi sulla post-season manca ancora troppo tempo, con un’ipotetica griglia dei playoff ancora quasi del tutto impronosticabile (a parte forse la numero uno ad est, Cleveland), quel che è certo è che tutte e trenta le squadre hanno scavallato, come minimo, il traguardo delle 41 gare stagionali ; è quindi tempo di fare le prime considerazioni su questi primi 4 mesi, tra conferme, sorprese, delusioni, sia di team che a livello individuale, ma anche, curiosità, record e gli italiani, con un Gallo che sta cantando sempre di più.

Tra le squadre non si può non cominciare dai Golden State Warriors campioni in carica, che dopo aver stabilito la miglior partenza di sempre (24 successi, prima del ko contro i Milwaukee Bucks), ma quindi mancato di raggiungere la più lunga striscia di vittorie consecutive(33) dei Los Angeles Lakers 1971-72, al momento sono pienamente in corsa per riscrivere il primato dei Chicago Bulls di Michael Jordan, che terminarono la stagione regolare 1995-96 con l’incredibile record di 72 vinte e solo 10 perse. Con più di metà delle partite già giocate e solo 4 ko rimediati (dopo i Bucks, l’”impresa” è riuscita a Dallas, Denver e Detroit, sempre lontano dalla Oracle Arena), se Curry e compagni dovessero mantenere questa media alla fine della regular season il record dei Bulls sarebbe superato. Ma non è certamente questo l’obiettivo dei Warriors (o almeno non quello principale), i quali fin da subito hanno zittito i più scettici sulla possibilità di bissare il trionfo dello scorso anno, nonostante sia chiaro a tutti che questa volta conquistare l’anello sarà ancora più difficile, vista la concorrenza ancora più agguerrita ad ovest e dall’altra parte, sulla carta, ad aspettarli per la rivincita i Cleveland Cavaliers di LeBron James, questa volta si spera al completo.

La formazione della baia intanto non sembra troppo preoccupata di cosa possa accadere tra maggio e giugno, continua ad asfaltare qualsiasi avversario le capiti davanti (è impressionante come basti a volte anche solo il primo quarto per scavare un solco irrecuperabile per gli altri), ha una stratosferica media di 114 punti a partita (ma spesso sono già intorno ai 70 a metà gara) e l’Oracle Arena è semplicemente inviolabile. Per rispondere all’accusa del calendario (oggettivamente) abbastanza facile fino a Natale, nell’ultimo mese i Warriors hanno anche rifilato a James e compagni due sonore  ripassate, clamorosa quella di qualche giorno fa a Cleveland, con i padroni di casa dominati dall’inizio alla fine e con un umiliante -34 finale (98-132), ora all’appello mancano solo le due rivali più accreditate della propria conference, i San Antonio Spurs, che proprio lunedì andranno a far visita a Curry e soci, e gli Oklahoma City Thunder dell’accoppiata Durant-Westbrook, per i quali bisognerà aspettare ancora un paio di settimane per il primo incrocio. Il fenomeno naturalmente è quello con la maglia numero 30, Steph Curry, che da inizio stagione sta mettendo assieme numeri semplicemente spaventosi, come i 30 punti di media a partita con il 45% da tre, regalando ogni sera giocate che sembrerebbero impossibili per uno con quel fisico (non proprio quello di LeBron James). Nelle rare occasioni in cui Curry non c’è o è leggermente al di sotto dei suoi standard pazzeschi, ci pensa poi il suo “fratello cestistico” Klay Thompson a tirar fuori prestazioni super (un altro che viaggia poco sotto il 50% da fuori dall’arco), che insieme ad un cast di supporto che gira come un orologio svizzero, con i vari Green, Iguodala e Livingston, fanno di Golden State al momento la miglior squadra della lega.

E tutto questo senza il suo capo allenatore Steve Kerr, tornato in panchina in occasione della vittoria interna contro Indiana ma bloccato da mesi per seri problemi alla schiena e sostituito fin dalla prima gara stagionale dal suo secondo, l’ex giocatore dei Lakers Luke Walton, anche lui alla prima esperienza non da vice, a riprova che il destino di ogni formazione, e non solo nel basket, viene deciso nel bene o nel male dalle giocate di quelli con la canotta sul parquet e non da quelli in giacca e cravatta in panchina. Insomma, senza uno come Curry molto probabilmente Kerr, comunque ineccepibile nella gestione del gruppo, non avrebbe fatto centro al primo anno, settimo allenatore della storia a riuscirci, ma provate a dare l’Mvp in carica a Philadelphia, al momento la squadra con il peggior record della lega, e vedrete che anche Brett Brown, il coach dei Sixers, vi sembrerà migliore.  

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