Quarantotto ore dopo il fallimento storico nel tempio di San Siro, la delusione per la mancata qualificazione dell’Italia al Mondiale di Russia è ancora tanta. E il malessere degli italiani – sfociato in rabbia, insulti e sfottò – è probabilmente aumentato alla notizia delle mancate dimissioni del ct azzurro Giampiero Ventura.
A molti sono venuti in mente i passi indietro di Cesare Prandelli e di Marcello Lippi, comandanti delle fallimentari spedizioni in Sudafrica e in Brasile, che subito dopo le rispettive sconfitte scelsero di abbandonare la nave con onore.
Stavolta no, è diverso. Incalzato dalle domande dei giornalisti mentre disquisiva sulla fantomatica “mole di gioco e di occasioni” prodotta dagli azzurri contro la modestissima Svezia, Ventura si è limitato a pronunciare frasi d’occasione: “Parleremo con la Federazione, ascolterò ciò che mi diranno, ma prima di prendere qualsiasi decisione ci sono molti aspetti critici da valutare”.
L’aspetto critico in realtà è uno solo: la buonuscita. Se Ventura si dimettesse perderebbe circa 750mila euro, cioè la retribuzione netta che gli spetterebbe fino al 30 giugno 2018, data di scadenza del contratto. Con un assegno equivalente, probabilmente, la partita potrebbe chiudersi.
E pensare che il lungimirante Carlo Tavecchio, presidente della Figc e attore co-protagonista di questo horror movie, aveva addirittura deciso di prolungare il rapporto contrattuale dell’ex allenatore di Bari e Torino fino al 2020, lanciando un segnale di apparente fiducia in vista degli impegni conclusivi delle qualificazioni mondiali.
Il termine “apparente” non è casuale. Molti (quasi tutti, a dir la verità) sono venuti a sapere solo a Italia-Svezia terminata che il nuovo contratto comprende una clausola che impone la chiusura anticipata del rapporto di lavoro in caso di qualificazione al Mondiale.
A questo punto, le carte che il Ct può giocarsi sono due: dimettersi o rimanere aggrappato alla panchina azzurra finché non scatterà la clausola (forse a fine mese), aspettando che i vertici decidano le prossime mosse e aprendo con ogni probabilità uno scontro legale sulla buonuscita in caso di esonero. Ventura non si sente l’unico colpevole della disfatta, e di fatto non lo è, ma è giusto che in questo momento di stupore e incredulità generale lanci un segnale forte e chiaro.
Il suo era già un contratto ricco in partenza, non sostenuto dagli sponsor come fu per Antonio Conte. Attaccarsi in questo momento al denaro sembra paradossale. Si tratta, forse, dell’ultima chance di recuperare un pizzico della credibilità perduta.
Perché, è inevitabile, Giampiero Ventura sarà per sempre ricordato come il protagonista del più grande fallimento azzurro di sempre.