L’Italia aspetta Luciano Spalletti. È lui il prescelto della Figc per dare il via al nuovo corso azzurro, tappando così la gigantesca falla lasciata da Roberto Mancini in un’incredibile domenica di agosto. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo De Laurentiis e la clausola rescissoria da 2,6 milioni che blocca il tecnico di Certaldo fino al 2024, ragion per cui sullo sfondo resta anche Antonio Conte, ct mai dimenticato del biennio 2014-16.
Gravina ha scelto Spalletti e lavora per “liberarlo” dal Napoli: annuncio entro il weekend?
Ma la scelta è stata fatta e riguarda il tecnico campione d’Italia in carica, a sua volta deciso a sposare l’azzurro della Nazionale. Spalletti desiderava un anno sabbatico, nel quale smaltire la sbornia Scudetto e dedicarsi un po’ alla famiglia, ma la chiamata dell’Italia è troppo forte per dire di no, anche perché rappresenta uno scivolo perfetto dopo l’esperienza di Napoli. Qualsiasi altra panchina, infatti, avrebbe “sporcato” la sua immagine agli occhi dei tifosi partenopei, mentre così nessuno potrà mai dirgli niente, nemmeno De Laurentiis. Il patron azzurro aveva legittimamente concordato una clausola da 2,6 milioni per “liberarlo” dal Napoli, una sorta di assicurazione anti-concorrenza che Lucio da Certaldo aveva accettato di buon grado. Il terremoto provocato da Mancini però cambia tutto ed è lecito attendersi un passo anche da Adl: l’Italia, infatti, non può essere vista come una concorrente, specialmente ora che reclama a gran voce il suo aiuto. Anche Spalletti, sia ben chiaro, dovrà fare la sua parte e rinunciare a qualcosa, in nome di una Nazionale ferita che però potrebbe perfino trarre beneficio dallo scossone, ritrovando nuova linfa dopo lo shock mai superato del flop Mondiale.
4-3-3, calcio offensivo e blocco-Napoli: ecco come sarà l’Italia di Spalletti
Il tecnico toscano è considerato l’ideale per tutta una serie di motivi, in primis per uno Scudetto appena vinto che ne nobilita il pedigree agli occhi di stampa e tifosi. La vera ragione però è tattica, perché il suo 4-3-3 coincide coi principi di gioco di Mancini, permettendo così una transizione più morbida rispetto a Conte, che invece avrebbe rivoluzionato tutto con il 3-5-2. Il lavoro del Mancio, del resto, non è tutto da buttare, anzi la Figc aveva deciso di affidargli tutto il “carrozzone” (sarebbe stato il responsabile di ogni categoria), il che la dice lunga sulla voglia di dare continuità, al netto delle inevitabili differenze.
Anche a Spalletti, proprio come al suo predecessore, piace il calcio offensivo, ma rispetto a lui è più legato al concetto di gruppo e meno a quello delle individualità: i precedenti con Totti e Icardi insegnano, proprio come il motto, diventato un must per gli amanti del genere, “uomini forti destini forti, uomini deboli destini deboli”. Lucio ridurrà decisamente la “caccia all’oriundo” esplosa nell’ultimo periodo di Mancini, preferendo lavorare sulla creazione di un gruppo che si fonderà anzitutto sul blocco Napoli (capitan Di Lorenzo su tutti, ma anche Meret, Politano e Raspadori), su quello dell’Inter (Barella, Frattesi, Dimarco, Acerbi, Bastoni e Darmian) e sul rilancio di talenti messi da parte per questioni caratteriali come Zaniolo e Zaccagni. La grande curiosità riguarda il centravanti, vero tallone d’Achille della gestione Mancini: sarà ancora Immobile, che potrebbe esaltarsi nel suo calcio verticale, oppure si virerà su prospetti diversi come Scamacca e Retegui?
Mancini si difende: “Gravina non mi voleva più, mai visto un Ct a cui cambiano tutto lo staff”
In tutto questo “entusiasmo” per lo Spalletti che avanza, c’è un inevitabile senso di frustrazione per la scelta di Mancini, piovuta sulla Figc come un vero e proprio fulmine a ciel sereno in una domenica d’agosto che sembrava anonima e che invece passerà alla storia come quella del grande tradimento. Le dimissioni via pec sono state prese malissimo dai vertici dello Sport, a cominciare dal ministro Abodi (“un addio così non è normale”), passando per Gravina e tanti volti noti del calcio italiano.
Il Mancio, inizialmente, si era trincerato dietro un banale post su Instagram, poi però ha deciso di vuotare il sacco e raccontare la sua verità sulle colonne di Repubblica. “Ho cercato di spiegare le mie ragioni a Gravina, gli ho detto che avevo bisogno di tranquillità, non me l’ha garantita e quindi mi sono dimesso – ha tuonato il tecnico di Jesi -. Non ho fatto niente per essere massacrato, anche perché alla prossima partita mancano 25 giorni, non tre… Si è mai visto un Presidente Federale che cambia lo staff del suo allenatore? È da un anno che voleva farlo, gli ho fatto capire che non poteva, ma ha giocato sul fatto che un paio erano in scadenza. È da tempo che pensava cose opposte alle mie, doveva mandare via me a quel punto. Buffon? No, niente contro di lui, anzi solo grande stima, tutta inventata anche la storia di Bonucci. Arabia? Non nego che ci sia l’interesse da parte loro, ma le due situazioni sono indipendenti e comunque ora non voglio pensare a niente”.
Sicuramente la maxi offerta (triennale da 40 milioni a stagione) ha avuto il suo peso, ma le nomine decise dalla Federazione hanno creato il solco: l’addio dei fedelissimi Evani, Nuciari e Di Salvo e il “trasloco” di Lombardo all’Under 20 hanno fatto capire a Mancini di non essere più al centro del progetto. Il tecnico si è sentito preso in giro e ci ha rimuginato su per giorni, fino alla telefonata con Gravina di sabato sera, ultimo contatto diretto tra i due: il mattino dopo, infatti, sono arrivate le ormai celeberrime dimissioni via mail. Ma forse, più di tutto, ha pesato il fallimento del Mondiale mancato, mai davvero smaltito, da lui e da tutti noi. L’Europeo vinto pochi mesi prima è bastato a salvargli la panchina, non a mantenere l’entusiasmo in un gruppo che si è pericolosamente involuto, così come in una stampa per lo più amica, ma sempre più perplessa di fronte a certe scelte. Mancini ha capito che l’aria si era fatta pesante e, complice la maxi offerta dell’Arabia, ha deciso di interrompere il suo rapporto con l’Italia. Un addio tutt’altro che elegante, destinato a macchiare non poco la sua immagine agli occhi dei tifosi, ma tant’è: a Spalletti il compito di ripartire subito con Macedonia (9 settembre) e Ucraina (12, giochiamo la qualificazione a Euro 2024), nella speranza che basti per cancellare quest’incredibile delusione estiva.