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Nasce Eurosur: vigilerà sull’immigrazione irregolare verso le coste italiane

Operativo, a due mesi dalla tragedia di Lampedusa, il Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere. Contenuta la misura dei finanziamenti aggiuntivi nonostante gli appelli dei vertici politici europei alla solidarietà verso l’Italia, primo approdo dei migranti. Comunque al nostro Paese destinati 30 milioni, più del contributo al complesso degli altri Stati UE.

Sono passati due mesi dal naufragio di un barcone carico di migranti al largo di Lampedusa costato la vita a 366 disperati in cerca di una vita migliore, e l’Europa ha battuto un colpo. Rapido no, certo; ma neppure tanto ritardato considerati i tempi necessari perché i rappresentanti di 28 Stati sovrani. che però non formano ancora una federazione, potessero concordare una decisione. Ma flebile sì, non si può negare; visto che consiste in un regolamento (ossia una legge europea valida in tutti gli Stati membri dell’UE) che disegna un sistema integrato di sorveglianza e di individuazione delle imbarcazioni in rotta dalla sponda Sud del Mediterraneo verso i porti della speranza. Oltre che dei battelli dei corrieri della droga e dei trafficanti di ogni genere.

Questa flebile e non rapidissima risposta dell’Europa alla richiesta unanime di interventi per evitare il ripetersi di tragedie come quella di Lampedusa è stata l’istituzione di Eurosur, il Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere, operativo in prima battuta nel Mediterraneo meridionale da lunedì 2 dicembre. Uno strumento di prevenzione nato sotto la spinta appunto dell’ondata emotiva suscitata dalla tragedia di Lampedusa, con l’obiettivo di tenere sotto controllo soprattutto i confini meridionali e poi anche quelli orientali dell’Unione europea per cercare di ridurre la portata del flusso di migranti verso il miraggio, l’Europa, alimentato dalla fame e favorito dall’avidità di mercanti di uomini.

A Eurosur in questa prima fase partecipano 18 Stati membri dell’UE la maggior parte dei quali aderiscono alla convenzione di Schengen che ha abolito le frontiere in Europa (oltre all’Italia, sono coinvolti in questa prima fase la Bulgaria, la Croazia, Cipro, l’Estonia, la Finlandia, la Francia, la Grecia, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Polonia, il Portogallo, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia, la Spagna e l’Ungheria) più la Norvegia, anch’essa aderente a Schengen. In seconda battuta, dal primo dicembre dell’anno prossimo, saranno coinvolti sette degli altri dieci Paesi che compongono l’Unione europea. La Gran Bretagna e l’Irlanda, mai entrate nell’area Schengen, e la Danimarca hanno deciso invece di non aderire all’iniziativa. Preoccupante, pur se non il primo, segnale di una solidarietà europea che scricchiola sotto il peso di antiche e mai cancellate diffidenze nonché della crisi economico-finanziaria che certo non aiuta.

Alla solidarietà ha fatto appello, e non da ieri, l’Italia. Che non ha mai lesinato l’impegno per soccorrere, accogliere e assistere i migranti pur se talvolta ha rischiato di non poter reggere la pressione delle ricorrenti e incontrollabili ondate di sbarchi. Ma che ha sempre cercato di far passare un messaggio di semplice evidenza: l’immigrazione dal Sud del mondo è un fenomeno di portata epocale che non si può cancellare con un tratto di penna ma che deve essere gestito. E non soltanto dal primo Paese di approdo, che negli ultimi tempi è stato soprattutto il nostro, ma dalle istituzioni europee con la partecipazione degli altri Stati membri.

Posizione, questa, che nelle ore successive alla tragedia di due mesi fa ha trovato una pronta eco nelle parole dei vertici europei. La gestione dell’ondata migratoria “è un problema europeo, e chiedo a tutti i Paesi membri di assumersi la responsabilità del dramma dei rifugiati”, ha detto il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. Il quale ha aggiunto che “l’Ue non può lasciare sola l’Italia”.  Mentre il presidente della Commissione José Manuel Barroso ha sostenuto, in una telefonata col vicepremier Angelino Alfano, che “tragedie come queste riguardano tutta l’Unione”. E ha ribadito l’impegno dell’Esecutivo di Bruxelles “a fare sforzi per potenziare l’agenzia che si occupa del pattugliamento delle coste”.

Questa agenzia è Frontex, recentemente al centro di un braccio di ferro fra Parlamento e Consiglio europei sull’entità delle risorse finanziarie da destinare alle attività di controllo delle frontiere. Che, per quel che riguarda l’Italia, comprendono due operazioni. Una, denominata “Hermes”, copre proprio l’area del Canale di Sicilia con le isole Pelagiche per contrastare i flussi di immigrazione illegale dal Nord Africa. L’altra, chiamata “Aeneas”, opera nel mar Jonio davanti alle coste di Calabria e Puglia.

A Frontex si affianca adesso Eurosur. “Una soluzione autenticamente europea che permetterà di salvare la vita di migranti in viaggio su imbarcazioni sovraffollate e insicure, di evitare ulteriori tragedie e di fermare i battelli dei trafficanti di droga”, ha sottolineato la commissaria per gli Affari interni Cecilia Malmström. Che ha invitato gli Stati membri a “cogliere pienamente l’occasione unica di mostrare che l’UE è fondata sulla solidarietà e sulla collaborazione concreta”.

Solidarietà e collaborazione che, considerata soltanto l’ampiezza dell’area geografica da tenere sotto controllo nel Mediterraneo (da Cipro alla Spagna) richiederebbero un sostegno finanziario molto più consistente dei 244 milioni previsti per il settennio che sta per incominciare. Un sostegno che avrebbe potuto essere più robusto per coerenza con l’impegno di solidarietà sollecitato dai vertici europei oltre che dall’Italia (Napolitano in testa), ma che probabilmente è stato frenato anche da un contesto finanziario difficile. Contesto che, va riconosciuto, non ha impedito però lo stanziamento di 30 milioni destinati al nostro Paese a titolo di contributo aggiuntivo per le operazioni di sorveglianza delle frontiere marittime condotte nell’ambito dei compiti affidati a Frontex. Un importo che, raffrontato ai 20 milioni attribuiti al complesso degli altri Paesi coinvolti, rappresenta in qualche misura un riconoscimento del peso maggiore sostenuto dall’Italia. Che continua ad essere la principale destinazione dell’onda lunga dell’immigrazione irregolare, che negli ultimi vent’anni ha causato più di seimila vittime.

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