Nel 1976 “ci volle coraggio per quella scelta di inedita larga intesa e solidarietà, imposta da minacce e prove che per l’Italia si chiamavano inflazione, situazione finanziaria fuori controllo e aggressione terroristica allo Stato democratico come degenerazione ultima dell’estremismo demagogico”. Lo ha detto ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la commemorazione del dirigente comunista Gerardo Chiaromonte. Un’occasione per sollecitare ancora una volta le forze politiche – soprattutto il Pd – a consentire nuovamente la creazione di un Governo di larghe intese.
“Il senso di una funzione di responsabilità nazionale democratica – ha ricordato ancora il Capo dello Stato – guidò Gerardo nella grande crisi fino alla svolta del 1976, impegnandolo in prima linea al fianco di Enrico Berlinguer nella scelta e nella gestione di una collaborazione di governo con la Democrazia cristiana dopo decenni di netta opposizione”. E la decisione della “concitata chiusura da parte del Pci dell’esperienza della solidarietà nazionale fu foriera di un arroccamento fuorviante”.
Napolitano si è prodotto anche in quello che è sembrato un indiretto riferimento polemico al Movimento 5 Stelle, sostenendo che “certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici in realtà si rivelano, nel loro fanatismo, negatrici e distruttive della politica”. Nel ricordare ancora Chiaromonte, il Presidente ha parlato della sua “visione della politica come responsabilità cui non ci si può sottrarre”.
All’appello del Quirinale, Pier Luigi Bersani ha risposto in modo esplicito: “La mia è una proposta di comune responsabilità democratica – ha detto stamane il leader del Pd su Rai 3 –. Vorrei far notare che nel famoso ’76 c’era uno che governava e gli altri che consentivano, era una singolare forma di governo di minoranza. Pdl e M5s, loro hanno detto no, non io. Togliamo di mezzo questa ‘bersanite’, io non impedisco niente, mi metto al servizio: si consenta un governo per il cambiamento con pochi punti, si faccia una convenzione sulle riforme con una data di scadenza precisa presieduta da chi non è al governo. La mia è una proposta di comune responsabilità democratica”.
In ogni caso, “finché non c’è chi può dare le carte, il prossimo capo dello Stato, facciamo chiacchiere. Questa settimana deve essere dedicata alla scelta del prossimo presidente”, ma “non ci venissero a proporre dei governissimi. Se c’è qualche altra fantasia, ce la dicessero. Ma chi può credere che con Brunetta si possa fare un governo e riusciamo a imbroccare qualcosa?”.
Bersani incontrerà in settimana (forse giovedì) il leader del centrodestra, Silvio Berlusconi, che ieri ha ribadito ai microfoni del Tg4 “la posizione del Pdl: dare subito un governo stabile e forte al Paese per prendere quei provvedimenti urgenti che si impongono”. Il Cavaliere ha invitato il Partito democratico a “uscire dalla passività e dall’inedia”, e ha annunciato che “gli otto punti del programma elettorale sono diventati otto proposte di legge che presenteremo questa settimana al Senato”.
Insomma, a questo punto Berlusconi non è disponibile a fare da comprimario: vuole che il centrodestra abbia un peso specifico assimilabile a quello degli avversari in un eventuale Esecutivo di larghe intese a guida Bersani. Una prospettiva irricevibile per il segretario del Pd.
Intanto, oggi i parlamentari del Movimento 5 Stelle occuperanno le aule di Camera e Senato da fine seduta a “mezzanotte e un minuto” leggendo la Costituzione e i regolamenti, in segno di protesta per il mancato insediamento delle commissioni permanenti.