Apre nuove prospettive di conoscenza su un eccezionale momento artistico europeo, il seicento napoletano, la mostra che si è aperta in questi giorni alle Gallerie d’Italia di Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli con un obiettivo: riconsiderare alcune personalità artistiche meno conosciute legate all’arte del grande Jusepe de Ribera per mettere nella giusta luce il valore storico e culturale di una delle più fervide stagioni della civiltà artistica del Mezzogiorno d’Italia. La mostra, non imponente come quelle dedicate in passato alla scoperta di questa enorme stagione culturale, ma molto preziosa, ruota attorno a uno dei più affascinanti e misteriosi dipinti del Seicento italiano, la Santa Caterina d’Alessandria, e al riconoscimento di Giovanni Ricca come suo autore.
L’esposizione, nata dalla collaborazione tra Intesa Sanpaolo e la Fondazione Torino Musei, è a cura di Giuseppe Porzio, storico dell’arte e autore di una importante monografia, La scuola di Ribera, che corona un lungo percorso di ricerche che hanno gettato nuova luce sull’arte a Napoli nella prima metà del Seicento. Ed è proprio a Porzio che si deve la definitiva attribuzione, dopo una radicale revisione filologica, fondata su insospettati collegamenti fra opere e documenti in parte già noti, in larga parte inediti, della Santa Caterina a Giovanni Ricca (Napoli, 1603-1656?), dipanando così una complessa vicenda critica che ha visto l’opera attribuita in passato ad altri artisti con varie attribuzioni, dal Maestro di Resina a Bartolomeo Bassante.
«La scoperta della paternità del dipinto è avvenuta quasi per caso – ha spiegato Giuseppe Porzio, nella conferenza stampa di presentazione della mostra – mancavano appigli di tipo biografico, il nome del pittore appariva solo in calce nel transito di pagamenti. Ho avuto la fortuna di individuare gli atti di un “processetto matrimoniale” conservati presso l’Archivio Diocesano: Ricca stava per sposarsi e si presentò davanti all’ufficiale della Curia per dichiarare il suo stato civile libero. Era una prassi eccezionale per un napoletano: era obbligatorio farlo solo per i forestieri, ma era stato smarrito il suo certificato di battesimo per cui fu chiamato a dichiarare le sue generalità e anche le sue frequentazioni davanti a dei testimoni. Dagli atti si scopre che è nato nel 1603 e che è napoletano ma anche che risiedeva nella parrocchia di Sant’Anna di Palazzo. Dai registri della parrocchia sono poi venuti fuori i battesimi dei figli con la partecipazione, come padrini, di altri pittori dell’epoca, il che ha aperto una rete di relazioni tra le figure. La persona che sposa Ricca è Caterina Rossa ed è emblematico che il suo quadro più famoso sia il “Santa Caterina” con questo colore vermiglio delle vesti e dei capelli, ricorrente nel corpus di Ricca. Nello stesso “processetto” compare anche un certo Diego da Molina noto per aver testimoniato al processo matrimoniale di Ribera, punto di intersezione e traccia di rapporti biografici tra i due artisti. Nel 1656 si perdono le tracce di Ricca nella documentazione, quindi è probabilmente quella la data della sua morte, ma ci sarà ancora da lavorare».
Il quadro, acquisito dai Musei Civici torinesi nel 2006 dalla collezione dell’editore Giulio Einaudi, diventa occasione nella mostra di Palazzo Zevallos Stigliano, per ripercorrere un momento fondamentale dell’arte italiana del Seicento, contrassegnato dall’impatto provocato dall’arrivo a Napoli del grande artista spagnolo De Ribera al seguito del viceré duca di Osuna nel 1616.
Jusepe de Ribera italianizzato col soprannome di lo Spagnoletto per la sua bassa statura, fu uno dei massimi protagonisti della pittura europea del XVII secolo ed uno dei più rilevanti pittori che seguirono a Napoli il filone del caravaggismo assieme a Luca Giordano, Massimo Stanzione, Mattia Preti, Bernardo Cavallino e Battistello Caracciolo, facendo della città un centro artistico di rilevanza internazionale.
E Giovanni Ricca, pittore di formazione naturalistica sul quale fino a pochi anni fa si avevano scarse e frammentarie notizie, emerge ora come una delle personalità più rilevanti attive a Napoli nell’orbita di de Ribera.
Accanto alla Santa Caterina d’Alessandria la mostra presenta altre opere di Giovanni Ricca, quasi tutte di recente attribuzione, tra cui la Trasfigurazione del 1641, già in Santa Maria della Sapienza a Napoli, il Martirio di sant’Orsola della Fondazione De Vito. Di de Ribera si possono ammirare due opere del 1620 circa, il Cristo alla colonna della Galleria Sabauda di Torino, variante della più nota versione della quadreria dei Girolamini a Napoli, e l’intensa Maddalena del Museo di Capodimonte, intimamente legata alla Santa Caterina per stile e vicenda critica.
L’esposizione comprende tele di altri artisti in rapporto con de Ribera e Ricca: Hendrick De Somer, il cosiddetto Maestro degli Annunci ai pastori e Francesco Guarino. Questi ultimi, rappresentati da pezzi cardine nell’allestimento permanente di Palazzo Zevallos Stigliano, completano il quadro di una cultura figurativa nata su basi caravaggesche ed evoluta verso forme di raffinato classicismo.
“La rassegna illustra in sintesi – spiega Porzio a proposito di Ricca – il percorso di questo ritrovato maestro: dalla notevole produzione di sante ed eroine bibliche a mezza figura che ne segna l’avvio all’insegna dei modelli di de Ribera, fino alle documentate tele di destinazione chiesastica sulle quali si è incardinata la ricostruzione della figura del maestro, come la monumentale trasfigurazione per la chiesa di Santa Maria della sapienza a Napoli, oggi in deposito presso il palazzo della prefettura e dunque difficilmente accessibile. Accanto a queste opere compaiono dipinti di altri artisti in connessione con Ribera, le cui vicende critiche si sono intrecciate con quelle di Ricca: Francesco Guarino, il maestro degli annunci ai pastori e soprattutto il fiammingo Hendrix de Somer, dei quali le raccolte di Intesa San Paolo conservano alcune delle prove più rappresentative. l’esposizione offre dunque un’importante occasione di verifica e di approfondimento delle conoscenze sulla pittura napoletana del seicento, aprendo una prospettiva finora inedita su questo eccezionale momento dell’arte europea”.