Qualche banca ha già alzato la mano. Unicredit e Intesa Sanpaolo si sono già dichiarate disponibili ad allungare la durata dei mutui a tasso variabile delle famiglie, come suggerito dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ieri all’assemblea dell’Abi e dopo che il suo stesso presidente Antonio Patuelli aveva espresso la disponibilità. Altri istituti più piccoli al momento sono alla finestra, attendono piuttosto un’iniziativa coordinata dell’Associazione Bancaria, auspicata anche dalle associazioni dei consumatori.
Come è noto, chi ha in passato acceso mutui a tasso variabile, quando i tassi erano praticamente a zero, con i ripetuti aumenti, in tutto di 400 punti base, firmati da Christine Lagarde, a capo della Bce, per far fronte al surriscaldamento dei prezzi, ora si ritrova con rate via via più pesanti. Da qui l’idea proposta di allungare la durata dei finanziamenti.
Gros-Pietro: Intesa Sanpaolo è pronta
Intesa SanPaolo “lo farà” ha assicurato il presidente dell’istituto, Gian Maria Gros Pietro al termine dell’assemblea dell’Abi. Sulla richiesta del governo “il clima tra i banchieri è favorevole, anche se un accordo non serve e la decisione sarà frutto di scelte individuali delle singole banche” ha aggiunto. Anche l’istituto di piazza Gae Aulenti, l’Unicredit, ricorda che è possibile una maggior flessibilità nelle scadenze dei mutui, che possono essere allungati di quattro anni, riducendo l’importo della rata. Pronte a muoversi in questa direzione anche le Banche di credito cooperativo e le Casse di Risparmio. Anche se qualche banchiere, come Francesco Minotti, amministratore delegato del Mediocredito, preferirebbe “un’iniziativa coordinata dell’Abi”. L’avanzamento in ordine sparso delle banche, tuttavia, preoccupa i consumatori. Il Codacons chiede un provvedimento del governo con garanzie che la manovra non comporti costi aggiuntivi per i cittadini.
E’ un vantaggio per tutti allungare il mutuo? Quanto costa ? Quali sono i pro e i contro ?
Ma vale veramente la candela allungare il mutuo? E soprattutto può essere vantaggiosi per tutti ?
Sono state fatte alcune simulazioni e ovviamente, occorre valutare caso per caso, perché emergono pro e contro, come riporta il Corriere della sera.
Certamente, ed è la parte più intuitiva, il vantaggio è il minore importo mensile della rata, anche in considerazione dell’inflazione che finisce per erodere la spesa reale. Se ad esempio c’è un debito residuo di 100.000 euro da rimborsare in 10 anni si ricalcola il mutuo come se fosse a 14 anni. Facendo due esempi: nel caso di un mutuo da 200.000 euro a 25 anni del 2018 la rata passerebbe da 1.298 a 980 euro, per il mutuo da 150mila a 20 anni del 2013 si scenderebbe da 984 a 744 euro.
Ma non mancano i contro da valutare caso per caso. In particolare ci sono due svantaggi: l’aumento consistente della spesa nominale complessiva e la minor riduzione del debito. Ecco di nuovo 2 esempi riportati dal Corriere. Se si ipotizza un mutuo da 150 mila euro a 20 anni al 4% e uno a 30 al 3,8%, il primo costa 909 euro al mese, il secondo 699: la spesa complessiva per il ventennale è di 218.153 euro, per il trentennale si sale a 251.617, con un aggravio di spesa di quasi 33.500 euro. Inoltre, se si volesse estinguere il mutuo dopo cinque anni, il ventennale avrebbe un debito residuo di 122.886 euro, il trentennale di 135.228. In caso di estinzione dopo 10 anni invece il ventennale ha un debito residuo di 88.779 euro, il trentennale di 117.371. Quindi alla fine bisogna sborsare quasi 28.600 euro in più.
I mutui più pesanti sono quelli accesi dal 2015 al 2022
Ieri il presidente Abi Antonio Patuelli ha detto che i mutui a tasso variabile rappresentano circa un terzo del totale dei mutui in essere delle famiglie italiane. Tuttavia occorre considerare che la platea di debitori è più ristretta perché sono in molti ad avere in corso un finanziamento non lontano dalla scadenza e con debito residuo limitato a qualche decina di migliaia di euro. Questi non stanno subendo conseguenze drammatiche: su un debito residuo di 30.000 euro ad esempio, i quattro punti di aumento sui tassi registrati nell’ultimo anno comportano un incremento della quota interessi di 100 euro al mese (81, se si calcola la detrazione Irpef) che oltretutto diminuiscono rata dopo rata. Il vero problema ce l’ha chi ha preso un mutuo variabile di entità ingente e di lunga durata dal 2015 al 2022. Anche in questo caso valgono più gli esempi della teoria, ed eccone tre indicati dal Corriere. Il primo riguarda un finanziamento a 25 anni da 200 mila euro partito all’1,61% 10 anni fa con una rata di 810 euro. Con l’Euribor al 4% il nuovo esborso mensile salirebbe a 1.192 euro. Lo stesso mutuo, però, partito nel 2018 al tasso dell’1,07% (ricordiamo che l’Euribor per quasi 5 anni ha avuto valore negativo) aveva una rata iniziale di 760 euro che oggi potrebbe arrivare a 1.284. Infine, il terzo esempio, il peggiore: un finanziamento sempre da 200 mila euro ma a trent’anni e partito solo due anni fa, al tasso dello 0,97%. La prima rata era di 705 euro, il rischio è di doverne pagare 1.401, praticamente il doppio.
Al momento è difficile indicare quante famiglie si trovino nella situazione più grave. Perché l’aumento del costo del denaro impatta soprattutto chi ha preso il mutuo da poco tempo e con tasso di partenza molto basso: negli ultimi cinque anni però la quota di persone che hanno scelto il variabile è stata piuttosto limitata e c’è anche stato tutto il tempo di surrogare il mutuo, trasformandolo a tasso fisso, trovando condizioni più interessanti. Come si sa, nella legge di bilancio il governo aveva già introdotto una prima misura: la rinegoziazione obbligatoria a tasso fisso. Il cliente in difficoltà può chiedere alla banca, che non può rifiutare, di trasformare il mutuo variabile in corso a tasso fisso, a condizioni precise: il tasso del finanziamento viene calcolato aggiungendo all’Eurirs pari alla durata residua del mutuo in corso lo spread già applicato.