Le aziende multinazionali tedesche e italiane raddoppieranno gli investimenti diretti esteri entro il 2030. Lo scrive Unicredit in una ricerca pubblicato oggi, precisando che le aziende tedesche investiranno all’estero 1.200 miliardi di euro addizionali, mentre per quelle italiane la cifra è 500 miliardi di euro. L’Eurozona e gli Stati Uniti resteranno le principali destinazioni degli investimenti.
Secondo i risultati dello studio, un numero crescente di aziende europee concluderà affari all’estero attraverso gli investimenti diretti esteri (IDE). La crescita degli IDE a livello globale ha nei fatti superato di gran lunga il volume sugli scambi in tutto il mondo. Le multinazionali (IMN) tedesche e italiane sono tra i primi operatori a livello mondiale. Con un stock di investimenti diretti esteri pari a circa 1.600 miliardi di dollari, la Germania è al terzo posto dopo Stati Uniti (6.300 miliardi) e Regno Unito (1.600 miliardi). Gli IDE delle aziende italiane si attestano sui 550 miliardi di dollari, mentre per le austriache la cifra investita è di 220 miliardi.
“Le imprese europee – ha commentato Gianni Franco Papa, Responsabile UniCredit Corporate & Investment Banking – sono state in prima linea in questo sviluppo e hanno costantemente aumentato gli investimenti diretti all’estero nel corso degli anni a partire dall’inizio degli anni ’90. Per questo motivo stiamo rafforzando la nostra rete internazionale, con l’intento di offrire alla clientela le migliori soluzioni possibili di consulenza e servizi finanziari a sostegno della sua crescita internazionale”.
Per gli investimenti diretti esteri delle multinazionali sia tedesche che italiane, la zona euro e gli Stati Uniti rimarranno le destinazioni più importanti. Gli IDE in Cina cresceranno di buon passo, senza però svolgere ancora un ruolo di primo piano. Le attività di investimento estero delle aziende austriache verranno più che triplicate. Tra le destinazioni Top-10 vi saranno i paesi europei, con una forte attenzione su quelli CEE.
Secondo i dati di UniCredit, le aziende tedesche investiranno all’estero un’ulteriore cifra di 1.200 miliardi di euro tra il 2016 e il 2030, quindi gli stock di IDE verso l’estero verranno quasi raddoppiati nel corso dei prossimi 15 anni. I principali paesi di destinazione rimarranno quelli della zona euro con 420 miliardi di euro, seguiti dagli Stati Uniti con circa 200 miliardi di euro. I paesi industrializzati rimarranno ancora tra le destinazioni più importanti in termini assoluti (data la base più elevata ad oggi) rispetto alla Cina, che riceverà 75 miliardi di euro supplementari.
Anche ipotizzando uno scenario di deglobalizzazione, le aziende tedesche investiranno comunque 500 miliardi di euro all’estero. Anche le aziende italiane raddoppieranno i loro stock di IDE verso l’estero da circa 500 miliardi di euro (in base a cambi correnti) a 1.000 miliardi di EUR entro il 2030. Come nel caso della Germania, l’area verso cui saranno canalizzati i maggiori capitali rimarrà la zona euro con ulteriori 180 miliardi di euro, seguita da Stati Uniti (120 miliardi di euro) e Cina (quasi 50 miliardi di euro).
Anche ipotizzando uno scenario avverso le attività di investimento estero potrebbero comunque crescere di 200 miliardi di euro. Le multinazionali austriache investiranno all’estero ulteriori 500 miliardi di euro entro il 2030, di conseguenza gli stock di IDE verso l’estero verranno più che triplicati, superando anche gli sviluppi di Germania e Italia (in termini di crescita). Tra le destinazioni Top-10 vi saranno i paesi europei. In totale, le aziende austriache investiranno 180 miliardi di euro nell’eurozona, di cui quasi la metà in Germania.
Altre nazioni CEE rilevanti per destinazione saranno: Slovacchia, Romania, Repubblica Ceca e Ungheria. In uno scenario di rischio, le multinazionali austriache dovrebbero comunque ampliare le loro attività estere per 170 miliardi di euro. Secondo lo studio di UniCredit, il 47% delle realtà industriali tedesche ha in programma investimenti all’estero per il 2016, percentuale che rappresenta il livello più alto dalla metà degli anni ’90.
Un quadro analogo emerge per l’Italia. Tali piani sono dominati da motivazioni cosiddette orizzontali, ovvero legate al presidio dei mercati di sbocco, mentre l’importanza del risparmio dei costi è diminuita notevolmente negli ultimi dieci anni.
“Da un punto di vista empirico – scrivono Harm Bandholz, Andreas Rees e Thomas Strobel, economisti UniCredit e autori dello studio affermano –, è innegabile che gli IDE siano in aumento in maniera meno vivace dopo il crollo della Lehman nel 2008. Sia le aziende che i consumatori sono in fase di ricostituzione dei bilanci. Di conseguenza, la spesa per gli investimenti in generale negli ultimi anni è rimasta piuttosto contenuta. Non appena tali turbolenze cicliche svaniranno, l’attività sugli IDE riprenderà con nuovo slancio”.
Inoltre, “negli ultimi anni, è iniziato un cambiamento strutturale dell’economia mondiale rispetto ai servizi. Tradizionalmente, si ritiene che le grandi aziende facciano più affari all’estero rispetto alle piccole e medie imprese. L’implementazione di nuove tecnologie può ridurre i costi fissi e variabili delle transazioni internazionali e consentire anche alle PMI un maggior numero di tali transazioni. Ulteriore sostegno alle attività di IDE a livello mondiale può venire da misure di politiche d’investimento. In contrasto con argomenti spesso sentiti, hanno continuato a essere rivolte verso processi di liberalizzazione e promozione degli investimenti”.