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Mps: la mossa di Orcel spariglia le carte, il progetto terzo polo vacilla. Banco Bpm e Mef sulle barricate

FIRSTonline - Matteo Lirosi

Il dossier Mps sembrava a un passo dalla risoluzione, dopo l’uscita del governo a metà novembre a favore di investitori amici che avrebbero contribuito a costruire quel “terzo polo” così al lungo desiderato anche dall’esecutivo. Al Mef manca ancora la vendita solo di un pacchetto inferiore al 12% per rientare da quell’investimento monster di esattamente di due anni fa per salvare la più antica banca del mondo dal fallimento.

Sembrava cosa fatta. Ma i conti sono stati fatti senza l’oste Orcel: l’ad di Unicredit non solo non è interessato al terzo polo di governo e anzi lo vede come un ostacolo a una sua crescita dimensionale in Italia, mercato dove ha il 45% dei ricavi, ma preferisce pensare più in grande così da creare un grande gruppo europeo. Ecco perchè ieri ha annunciato l’intenzione di mettere le mani su Banco Bpm.

Proprio la banca guidata da Giuseppe Castagna si era convinta di essere la protagonista del terzo polo nelle vesti di pivot nel capitale di Montepaschi. Ma ora in Piazza Meda, dove Castagna ha convocato d’urgenza un cda, ma anche in via XX settembre a Roma, dove il Mef potrebbe vedere collassare il suo progetto dirigista sul credito italiano, non mancano scintille e malumori.

Come fare per quel rimanente 11,7% di Mps

Il governo aveva appena costruito (il 14 novembre) la cessione del 15% del Montepaschi (contro attese di una cessione limitata a un 6-7%) scendendo in un sol colpo dal 26,7 all’11,7% incassando altri 1,1 miliardi. Il controvalore complessivo incassato dal Mef grazie alle tre operazioni di cessione effettuate a partire da novembre 2023 ammonta a circa 2,7 miliardi di euro, a fronte di un importo dell’aumento di capitale della banca Mps sottoscritto a novembre 2022 di circa 1,6 miliardi di euro. Gli manca da vendere ancora quell’11,7% ( o anche meno, se decidesse di volersi tenere una quota). Nei corridoi della finanza ci si domanda a chi andrà, ma anche a chi potrebbe ora interessare.

Oggi il titolo Mps quota 5,90 euro, mentre l’ultima vendita era stata fatta a un prezzo di 5,792 euro per azione,con un premio del 5% rispetto al prezzo di riferimento. Sotto la guida del ceo Luigi Lovaglio e della squadra di manager, Mps ha chiuso i nove mesi con un utile di 1,57 miliardi, in crescita del 68,6% rispetto allo stesso periodo del 2023, a cui il terzo trimestre ha contribuito con 407 milioni.

Banco Bpm e Anima (che ha già l’1% del Monte) si sono fatti spazio nell’istituto senese e si sono portati nell’insieme al 9% (il 5% di Castagna sommato al 3+1 di Anima). Insieme a loro, nel capitale della banca toscana, c’è una roccaforte tutta italiana, una cordata di imprenditori in sintonia con l’esecutivo: fra loro la cassaforte Delfin dei Del Vecchio e il gruppo Caltagirone, che hanno acquistato il 3,5% del Monte ciascuno, investendo nel complesso circa 500 milioni.

Tutto sembrava perfetto, anche perchè in questo modo si evitava da un lato che Siena finisse nelle mani di Unipol, controllata dalle coop rosse, dall’altro che si fermassero le ambizioni del Crédit Agricole, che ha il 9,2% di Banco Bpm. Repubblica scrive per altro che c’è un pacchetto di azioni Bpm messo al sicuro da Jp Morgan in attesa dell’autorizzazione a salire fino al 20% per i francesi.

Il progetto terzo polo vacilla

Ma l’annuncio dell’operazione di Unicredit su Banco Bpm ha fatto vacillare il progetto terzo polo e già ieri il governo che ieri è uscito con le prime dichiarazioni allarmate: a partire da quelle del ministro Giancarlo Giorgetti secondo cui la mossa è stata “comunicata ma non concordata col governo” sguainando anche la spada della golden power. Emblematiche poi le acide reazioni del leader leghista Matteo Salvini secono cui “Unicredit ormai di italiano ha poco e niente: è una banca straniera, a me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps che stanno collaborando, soggetti italiani che potrebbero creare il terzo polo italiano, non vengano messe in difficoltà”. L’acquisizione di Banco Bpm da parte di Unicredit creerebbe il secondo gruppo italiano del credito (dopo Intesa-Sanpaolo) e a un campione europeo da quasi 20 milioni di clienti.

Oggi il cda convocato da Giuseppe Castagna ha respinto con fermezza i termini dell’operazione le “condizioni risultano del tutto inusuali per operazioni di questa tipologia e, nell’opinione del consiglio di amministrazione, non riflettono in alcun modo la redditività e l’ulteriore potenziale di creazione di valore per gli azionisti di Banco Bpm”. In altre parole il cda considera il prezzo troppo basso, e come detto da alcuni esponenti, “quasi offensivo”. L’offerta pubblica di scambio (ops) di Unicredit, “carta su carta”, che prevede soltanto scambio di azioni a un prezzo implicito per le azioni della banca milanese è di 6,66 euro. con un premio dello 0,5% rispetto al prezzo ufficiale di Banco BPM del 22 novembre, ma con uno sconto “implicito del 7,6% rispetto al prezzo ufficiale di ieri” dice il comincato del cda.

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