Le banche italiane sono i principali clienti dello sportello prestiti della Bce. Sui 489 miliardi erogati dall’istituto di Francoforte, secondo quanto rivela un report di Morgan Stanley, 50 sono stati richiesti dalle banche della Penisola che così hanno già accantonato un buon 90% delle loro necessità di “funding” per l’anno in corso, In particolare, Unicredit ha richiesto 12,5 miliardi, poco meno Intesa (12 miliardi). Ma, in proporzione, l’istituto che ha fatto la provvista più sostanziosa è banca Mps: 10 miliardi tondi.
Non è difficile capire le ragioni di questa strategia, avviata già prima della designazione del neo direttore generale Fabrizio Viola che oggi è impegnato nella prima prova del fuoco su una poltrona che scotta: l’illustrazione al Cda del piano per evitare il ricorso all’aumento di capitale, raccogliendo in altro modo il maggior capitale chiesti dall’Eba.
Un appuntamento atteso con grande curisità dal mercato che, nel giorno della grande euforia per le banche, limita il rialzo del titolo a poco più dell’1%: musica se si pensa alla frana degli ultimi mesi in cui è andato letteralmente in fumo l’aumento di capitale di primavera in cui è stata bruciata la residua ricchezza della Fondazione accumulata nei secoli. Ben poca cosa se si pensa al +13% di Unicredit o al +7% del Banco Popolare, che probabilmente eviterà il ricorso all’aumento di capitale, ostacolo ben più impervio vista da Siena.
Secondo l’Authority guidati da Andrea Enria, la banca toscana accusa un deficit, rispetto al core tier 1 ritenuto necessario per gli istituti sistemici, di 3,3 miliardi. Entro domattina, dunque, il neo dg e il presidente uscente, Giuseppe Mussari, dovranno illustrare in Banca d’Italia il modo per rastrellare questa cifra entro giugno. Troveranno ad attenderli orecchie attente ma comprensive: il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nel recente incontro con i vertici delle banche, ha fatto intendere che, di qui all’inizio dell’estate, molte cose potranno cambiare.
Le richieste di capitale sono state calcolate, infatti, sulla base del “buco” di fine settembre, quando il valore dei titoli di Stato in portafoglio (Siena è tra i più esposti sul fronte di Btp e Cct) avevano ormai varcato la soglia critica. A giugno, al contrario, il “buffer” imposto dall’Eba potrebbe essere meno gravoso: una volta superate le aste di primavera ed attivato il fondo Efsf, il valore dei titoli in portafoglio potrebbe risalire. E non di poco. Del resto, come ha sottolineato Mario Draghi, l’Eba ha commesso un grave errore procedendo all’esecuzione dei test senza tener conto del rinvio del decollo dell’aumento di capitali a disposizione del fondo Salva Stati, a differenza di quel che nel 2009 fecero gli Stati Uniti (prima il Tarp, poi gli aumenti delle banche per giunta favoriti dall’intervento del Tesoro).
In sintesi, si tratta di resistere. Ma, di fronte ad una situazione di obiettiva fragilità che si trascina dal tempo dell’acquisizione a prezzi scriteriati di Banca Antonveneta, il gruppo bancario senese non può limitarsi ad interventi di facciata. Il problema è semplice, ma grave . La banca oggi capitalizza 2,5 miliardi circa, ovvero 800 milioni in meno dei mezzi freschi che deve dimostrare di poter raccogliere. Inutile bussare agli attuali soci. Francesco Gaetano Caltagirone, oggi vicepresidente (in attesa di conferma dopo la condanna in primo grado per la scalata Bnl) farà la sua parte, ma non di più.
La Fondazione Mps, forte di una quota di poco inferiore al 50% (tutta in garanzia presso il sistema bancario, Mediobanca e Crédit Suisse in testa) è costretta a vendere una fetta consistente del suo pacchetto, attorno al 17%. A chi? Secondo il Financial Times, alla fine sarà necessario ricorrere alla Cdp o a qualche socio (vedi Fondazioni) aderente alla Cassa del Tesoro, per evitare, almeno ufficialmente, la razionalizzazione della Banca. A Siena, in attesa del comunicato che uscirà in serata da Rocca Salimbeni, l’ipotesi non viene commentata.
Secondo gli analisti di Banca Akros “un private placement da 1-1,5 miliardi di euro con la Cdp sarebbe comunque un’alternativa credibile” per risolvere la questione del capitale. Oltre, naturalmente alla conversione dei freshes (prodotti strutturati convertibili in equity) e la cessione di asset immobiliari e di partecipazioni varie, dalla quota in Cdp (acquirenti possibili Fondazione Crt e/o Cariplo) piuttosto che l’immobiliare Sansedoni o quote in altre società.