Strani scherzi del destino. Stasera, ore 20 e 45, Jose Mourinho e Pep Guardiola si troveranno di nuovo (è la sedicesima volta) uno di fronte all’altro, a Praga, e ancora una volta si contenderanno un trofeo, quella Supercoppa europea forse un po’ troppo estiva e crepuscolare per essere presa davvero sul serio, ma che comunque fa sempre la sua porca figura, in bacheca.
E dire che nessuno dei due si è guadagnato il diritto di esserci, nella scorsa stagione. Uno era a New York, a cercare di vivere il suo anno sabbatico lontano dai riflettori e a studiare il tedesco, l’altro era a Madrid a litigare con tutti (curiosamente, però, il “nemico” Iker Casillas scalda la panchina anche con Carlo Ancelotti) e a non vincere, per una volta, quasi nulla.
Ce li hanno portati i loro predecessori, fin qui, volo diretto per Praga senza scali: il ritirato (?) Jupp Heinckes, salutato senza troppi complimenti dal Bayern, che annunciò il suo predecessore pochi mesi prima che questo vincesse tutto, e Rafa Benitez, oggi felicemente napoletano, che restituisce allo Special One, chissà con quale gioia, il favore di qualche anno prima, quando sulla panchina dell’Inter disputò le supercoppe guadagnate dal Triplete di Mou.
E quindi sembrerebbe essere una congiura di un destino beffardo e amico dei giornalisti, che, per ravvivare un torneo di fine estate, ha voluto regalarci un buon titolo e l’ennesima sfida tra gli allenatori più chiacchierati e vincenti del globo. Amici mai, perchè troppo diversi in tutto, il cattivo contro il buono, il provocatore contro il politicamente corretto, il profeta del risultato ad ogni costo, quello che non si vergogna di alzare orgogliosi catenacci (l’ultimo lunedì scorso, a Manchester), se necessario, contro il vate del bel gioco e divertiamoci, e poi pensiamo a vincere.
Amici mai, perché troppo diversi e in qualche modo però simili, e la naivete di Guardiola, in fondo, potrebbe essere lo stesso delle provocazioni di Mou, uno stilema distintivo, un modo come un altro di catalizzare attenzione su di sé, disperdendo le pressioni dalle fragili spalle larghe dei propri campioni, quelli che scendono in campo e alla fine dei conti, vincono o perdono le partite. E forse per questo si odiano tanto, perché si riconoscono.
Nelle ultime conferenze stampa ci sono andati cauti, carezzandosi di striscio. Forse devono ancora scaldarsi: dopo un anno non è facile tornare ai vecchi amori come se niente fosse. Lo speciale si è affrettato a conferire al Bayern, più che a Guardiola, la palma di grande favorito, preparandosi il terreno per le dichiarazioni postpartita. Il normale ha detto che contro Mourinho “se perdi la palla sei morto”, dandogli, in buona sostanza, del contropiedista di talento.
Dettagli di poco conto: avranno riposto il curaro in qualche angolo negletto della soffitta, e l’avranno dimenticato. Niente a che vedere con risse e dita negli occhi e tutto il campionario degli anni d’oro. Ma forse è meglio così, che tanto in campo ci scendono gli altri, e forse è vero che il Bayern è favorito, ma il Chelsea, questo Chelsea giovane e pieno di talento (ma con ancora i suoi vecchi totem, in mezzo al campo) e già intimamente mourinhano, sarà un osso durissimo.