Alla boa di metà stagione, la velocità di massimo livello a 2 e 4 ruote fa i conti con un tema in comune. Nulla a che vedere con chi vince: in questo campo, i due campionati mondiali presentano storie diverse e quasi distanti, con la Red Bull e il suo giovane campione del mondo in carica, Sebastian Vettel, a fare da lepre in F.1, e con l’iridato in carica Jorge Lorenzo a dare la caccia nella Moto GP a un redivivo Stoner con la Honda tornata in massima auge.
La linea che unisce la velocità ‘top’ in moto e in auto parla invece la lingua della maturità. Il confronto, o meglio dire il parallelo specchiato, unisce i due campionissimi nei rispettivi ambiti: Michael Schumacher e Valentino Rossi. Sui loro curriculum, non serve ricordare troppo: sette titoli mondiali F.1 per il tedesco; nove (1 nella classe 125, 1 in 250, 1 nella 500 e 6 nella Moto GP) per il Fenomeno di Tavullia nelle due ruote. 42 e 32 – rispettivamente – anni di età: un valore, che già di per sé, meglio di qualsiasi altro introduce il nostro confronto a distanza.
Ma dato che parlare di vecchiaia (o di maturità, come abbiamo premesso con cautela) nel caso di questi due mostri sacri dello sport motoristico, può facilmente scivolare nell’affronto, proviamo a porci la domanda partendo dalla fine. Ovvero: se Schumi e Vale avessero 10 anni di meno, starebbero vivendo le forche caudine che stanno sperimentando con le loro – sempre rispettivamente – Mercedes e Ducati? La risposta è quasi pilatesca: probabilmente sì. E allora, nuova domanda: e in questo caso, darebbero l’impressione di quasi rassegnazione che offrono oggi? Risposta molto più cattiva: quasi certamente no.
Non è un mistero: in qualsiasi sport, l’età matura può risultare quasi vincente in quanto a esperienza, a capacità di ottimizzare valori umani e tecnici magari non ideali. Ma quando il passare degli anni inizia a mettere a nudo il calo di energia, allora anche la coperta della maturità diventa troppo corta. A nostro parere, questo è il problema di Michael Schumacher e di Valentino Rossi. I quali, in quanto a velocità in pista, a capacità di affrontare l’eventuale rischio estremo, possono anche non avere nulla da invidiare ai concorrenti più giovani. Schumi l’ha dimostrato in un paio di gare, quest’anno, portando la sua Mercedes davanti a quella del giovane compagno Nico Rosberg, che non è un fulmine di guerra ma è pilota veloce e capace, preciso, di alta scuola anche se forse di indole non particolarmente aggressiva. Vale ha fatto lo stesso ogni qual volta la sua Ducati ha mostrato un minimo guizzo di miglioramento, arrivando ad accarezzare il podio più per suo evidente merito che per caratura tecnica.
Ma pian piano, la palude della competitività tecnica in calo costante, mentre quella dei team avversari aumenta di gara in gara come ritmo di campionato impone, se si vuole essere competitivi nel rush finale, li sta fiaccando. I loro occhi, più ancora delle loro parole, tradiscono questo contenuto. Schumi e Valentino di oggi, si somigliano soprattutto nello sguardo quasi smarrito che accompagna quasi a ogni traguardo parole del tipo”… Sì, abbiamo fatto il massimo. Ma non basta. Dobbiamo crescere”. Parole che, qualche anno fa, avrebbero detto magari identiche. Ma con un lampo di odio negli occhi. Un guizzo di cattiveria malcelata prima di tuffarsi nella immediata riunione e vomitarla fuori per dare la sveglia allo staff tecnico. Per sibilare: “Se con questa macchina/moto non vinco nemmeno io, allora fa proprio schifo. E la colpa è vostra!”
Ecco: può darsi che in queste riunioni tecniche – che qui immaginiamo con puro spirito di racconto – né Michael né Valentino si sentano più di battere i pugni sul tavolo a questo modo. Può darsi, anzi, che siano loro a sentirsi dire dagli ingegneri: “Le abbiamo provate tutte, come ci hai chiesto/suggerito/imposto. Ma i tempi non vengono. Adesso cosa proponi?”.
E se le cose stanno così, allora la risposta al nostro quesito non può che essere questa: il calendario può fare tutto; eccetto tornare indietro.