La polemica smorzata (ma tutt’altro che sopita) da Valentino Rossi su Twitter in merito al confronto fra lui e Stoner è di quelle per le quali qualsiasi giornalista si potrebbe leccare le dita.
“Nelle ultime 6 stagioni, Stoner ha corso 100 gare vincendone 33“, lo ha punzecchiato il team Honda HRC, principe del Mondiale 2011 grazie alla super-stagione del pilota australiano, aggiungendo al calcolo anche i 2 titoli iridati conquistati e le 34 pole position.
Vale (stesso periodo con 101 gare disputate e 26 vinte, più 19 pole e 2 mondiali conquistati) ha ribattuto piccato: “Facile paragonare questi numeri. Peccato che nel 2006 – ovvero all’inizio del conteggio – io avevo già vinto 53 volte nella classe regina e conquistato 5 titoli”.
Meraviglioso, per qualsiasi bar sport che si rispetti. Ma dietro al faccia-a-faccia fra le clamorose percentuali di vittoria dei due campioni (27,5% di gare vinte per Rossi; 33% per Stoner) si nasconde ben altro. Ovvero: il tempo che corre. Le eredità di DNA da super-campione che passano di mano. Valori che per un appassionato giovane valgono, appunto, discussioni da bar. Ma che per chi conta qualche anno in più simboleggiano la storia dello sport. E non solo a motore.
Ma se restiamo al mondo delle corse, questa equazione appare più evidente che in molti altri sport. Valentino soppiantato da Stoner nell’Olimpo delle due ruote sa di saga infinita. La stessa che a quattro ruote ha prodotto negli ultimi trent’anni un avvicendamento di rara eloquenza. Chi non ricorda Niki Lauda? Scrisse un’epoca vincendo 2 titoli con la Ferrari, inframmezzati da un rogo al quale scampò miracolosamente, quindi si ritirò con grande clamore a fine 1979. Ritornò a inizio Anni ’80, con la McLaren: più per necessità finanziarie (si disse) che per insopprimibile passione. E nonostante questo, Lauda si laureò nuovamente campione nel 1984, beffando per mezzo punto (!) il compagno in McLaren Prost. Che di fatto era più veloce di lui, anche se meno esperto e freddo.
Fu infatti Prost e rilevare da Lauda il testimone di super-campione: due titoli, 1985 e ’86. Quindi fu la volta di Senna. Anche in quel caso, i due erano compagni di team, sempre in McLaren. Prost espertissimo e freddo, regolare, calcolatore. Senna imprendibile, anche dal cronometro. Prost lo sgambettò nel 1989, strappandogli il titolo per una speronata smaccatamente volontaria alla penultima gara. Senna aveva già conquistato il titolo 1988; quindi si ripetè nel ’90 (a sua volta speronando il francese, passato nel frattempo alla Ferrari) e si consacrò fuoriclasse iridato nel ’91. Numero 1 indiscutibile.
Nuovo colpo di coda di Prost nel 1993: Senna battuto per il Mondiale, ma soltanto perché la Williams del francese valeva nettamente più della McLaren. Ma a quel punto non era più Prost, la spina nel fianco di Ayrton. Era Michael Schumacher. Il passaggio delle consegne avvenne nel maggio 1994: Senna ucciso da un incidente banale a Imola ne fu la causa; ma il tedesco aveva iniziato la stagione dominando, e l’avrebbe conclusa con il primo titolo poi doppiato l’anno successivo, in un panorama ormai sgombro da campioni. I 5 ulteriori titoli di Schumacher con la Ferrari (dal 2000 al 2004) sono cronaca di ieri. Ma sulla Renault c’era già un certo Alonso, pronto a batterlo nel 2005 e 2006, decretandone di fatto il ritiro, poi annullato due anni fa con un rientro in Mercedes che a oggi non ha fornito i risultati sperati.
Il tempo corre, caro Schumi. Te lo può confermare Alonso stesso: considerato oggi il pilota più completo in pista, nonostante una Ferrari non più arma totale; ma senza dubbio preoccupato dall’ombra lunga di Sebastian Vettel che con la Red Bull ha dominato le ultime due stagioni di Gran Premi. Una preoccupazione che probabilmente Valentino Rossi sta oggi vivendo, esattamente identica, quando è chiamato a parlare di Casey Stoner. Se non altro perché ha 6 anni meno di lui. E probabilmente, ancora di più, perché di polemiche tipo questa sembra non preoccuparsi per niente…