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Moto Gp e Rugby World Cup: così si uccide lo sport

Gli intrighi spagnoli che hanno portato all’incredibile punizione di Valentino Rossi e lo scandaloso arbitraggio che ha regalato all’Australia la vittoria sull’Argentina nella semifinale della World Cup di rugby sono una pagina tristissima nella storia dello sport che allontana i veri appassionati e falsa i risultati delle gare

Moto Gp e Rugby World Cup: così si uccide lo sport

Dopo Calciopoli n’è passata di acqua sotto i ponti. Sembrava un capitolo superato, non solo per il calcio, ma per lo sport in generale. Invece no. Ci risiamo, e ci risiamo pesantemente se consideriamo che sono stati guastati due tra gli eventi più seguiti del mondo. Il mondiale di rugby e il motomondiale. Prove? Inchieste avviate? Certamente no. Opinioni, dettate però da fatti stringenti e inquietanti, che fanno arrabbiare e stringere lo stomaco di tutti i veri sportivi. Opinioni che sarebbero tanto contente di essere smentite da fatti provati da dette inchieste che starebbero lì a dire No, non c’è stato nulla di scorretto: ecco le prove. Ma i rispettivi establishment se ne stanno lì a far finta che vada tutto bene, che non c’è del marcio anche in angoli sportivi di mondo mai sporcati da intrighi politici di aggiustamento dei giochi. 

FINALE MOTOGP 2015: TAPAS AL BISCOTTO IBERICO

In pochi al mondo ormai non sapranno delle polemiche nate dall’ultima gara del MotoGp. Non c’è quindi alcun bisogno di ricapitolare l’accaduto. Valentino Rossi è tagliato fuori dalla lotta al decimo titolo iridato (di cui era principale aspirante in quanto primo in classifica) da una decisione della direzione di gara che lo penalizza per un calcio alla moto di Marquez durante un duello estenuante e senza senso apparente. Già, perché la bagarre tra i due è iniziata dai primi giri, quando tutti dovrebbero avere l’obiettivo di arrivare il più davanti possibile. Cosa che, così facendo, è chiaramente impossibile: rallentandosi in un duello di sorpassi a ogni curva, si lasciano le lepri nelle due posizioni davanti scappare con facilità spiazzante. Allora perchè?

Lorenzo si porta in seconda posizione nel giro di due curve. Marquez si porta davanti a Rossi e sistematicamente rallenta il proprio passo gara di parecchi decimi. Quando cade, disarcionato dal piede bionico di Rossi, quest’ultimo si trova con sei secondi in meno, sei di ritardo su la coppia in fuga Pedrosa-Lorenzo. Il Sole 24 Ore pubblica poche ore dopo un illuminante articolo nel quale evidenzia i quattro motivi per cui la penalizzazione a Rossi appare quantomeno fuori luogo. Ne bastano due però. Uno, un calcio di un uomo non ha la facoltà di far cadere una MotoGp, che deve avere un peso minimo di 158kg. Rossi sarebbe un Jean Claud Van Damm bionico in grado con un colpetto di gamba di far cadere una massa di più di 200kg in piena corsa. Secondo, Marquez è già in caduta quando la gamba del sempre bionico Rossi si stacca dalla pedana del cambio. Come volevasi dimostrare. 

L’intrigo spagnolo appare fin troppo evidente quando Lorenzo ai microfoni di Sky Italia commenta l’accaduto dicendo che Rossi dovrebbe arrivare a Valencia in svantaggio rispetto a lui nella classifica mondiale. Solo quella sarebbe stata una decisione giusta per il maiorchino. Tristezza su tutti i fronti. Un Valentino che mai nella carriera aveva perso la lucidità, la vede sfuggire proprio in uno dei momenti più importanti. L’istinto, la voglia di prevalere, il grido primordiale a stabilire chi è il più forte hanno sconfitto il rigido calcolatore, il freddo stratega, l’esperto campione.

Nonostante la condanna dei giornali spagnoli, in Italia la solidarietà nei confronti del dottore è unanime. Dalla sua parte anche il Coni: “Valentino è cascato nella provocazione e mi sembra che anche lui lo abbia riconosciuto. C’è una responsabilità da parte sua, però io lo voglio assolutamente difendere e non per un fatto istituzionale: credo che così facendo si sia falsato il Mondiale e questo non lo trovo giusto. Sono particolarmente vicino a Valentino e lo abbraccioforte”. Queste le parole pronunciate da Giovanni Malagò, numero uno dello sport italiano. “Capisco il suo rammarico e la sua rabbia – ha aggiunto a margine di un evento legato alla scherma – perché oggettivamente sarebbe un risultato straordinario per lui vincere questo decimo Mondiale dopo una stagione strepitosa. Se potessi dargli un consiglio gli direi invece di partecipare per non dare alibi e soddisfazione alle persone che hanno creato questi problemi”.

Non resta che sperare in una ribalta italiana in terra spagnola, con i ducatisti a sottoporre gli spagnoli ai più difficili problemi della loro vita. Per dare tempo a Valentino di risalire da quella lontana ultima posizione alla quale è stato costretto da una decisione impari e vigliacca. Sempre che il Dottore decida di scendere in pista, dato che ha già fatto trapelare che sta pensando di non correre affatto. Gesto di protesta che non solo sarebbe legittimo, ma anche comprensibile se non condividibile. 

RUGBY WORLD CUP 2015: ARBITRI MARIONETTE DELL’INTERNATIONAL BOARD

Sarebbe da scrivere un pamphlet su tutte le ombre arbitrali di questa Coppa del mondo, quantomeno da quando è iniziata la fase a eliminazione diretta. Per onere di spazio e tempo, ci si occuperà solo del caso più evidente e straziante di una sempre più pressante presenza nei campi da gioco di logiche politiche che col gioco hanno ben poco a che fare. La semifinale di poco fa tra i Pumas argentini e i Wallabies australiani è la lente ideale per smascherare una fin troppo ingerenza di preferenze al di sopra dei valori che vengono espressi tra le due acca. 

La partita di ieri ha dimostrato tutti i limiti comportamentali dei sudamericani, frettolosi e imprecisi, troppo presi dalla foga di voler tutto e subito. Però, c’è un però grosso come l’Argentina stessa. L’Australia è stata oggettivamente favorita da un arbitraggio ridicolo a opera del solito Barnes, che di arbitraggi fantascientifici è un esperto comprovato da anni di direzioni scioccanti. Come fatto per la novelle Rossi-Marquez-Lorenzo, andiamo a vedere i fatti.

La mischia argentina, lo sanno tutti coloro che si sono avvicinati a uno schermo ovale almeno una volta nella vita, è la più forte del mondo. Lo ha ben dimostrato anche ieri, se non fosse che non ha raccolto quello che le sarebbe spettato. A ogni mischia, o quasi, la prima linea australiana commetteva un fallo (che sia il ginocchio a terra, la spinta verso l’alto o verso l’interno, una legatura illegale, un crollo voluto), spesso non evidenziato dal fischietto inceppato del biondo arbitro, o non sanzionato a dovere. Già, perché quando un fallo diventa sistematico, nel rugby scatta automaticamente il cartellino giallo, che significano 10 minuti in 14. Nel caso della mischia al terzo fallo consecutiva, il cartellino giallo è d’ordinanza. Una prima linea fuori, significa farne entrare un’altra al posto quasi sempre di una terza linea: l’arma più potente degli australiani. Coincidenze, no? Non un giallo per i Wallabies. 

Punizione per l’Argentina, ci devono essere i dieci metri da regolamento di spazio tra attacco e difesa. Il mediano pumas gioca velocemente e viene placcato all’interno dell’area franca. Qui dovrebbe scattare senza remore il cartellino automatico. Invece no. Barnes il cartellino lo tira fuori qualche minuto dopo, il cartellino giallo. Contro i Pumas però. Placcaggio a spalla chiusa sul ginocchio avversario. Il rugby a quanto pare si sta avvicinando alla danza classica in quanto a contatto fisico, perciò al primo fallo, o almeno presunto tale, argentino ecco i 10 minuti nel Sin Bin. 

Infine, sullo scadere del primo tempo i Pumas si rendono protagonisti di un’azione da annali dello sport. Vengono, ahimè, fermati, da un arbitro lontano decine di metri dall’azione che decreta un in avanti ai biancocelesti su un passaggio arretrato toccato palesemente indietro da un argentino. Non basta. Nella mischia che segue, il pilone australiano si adagia steso a terra come il più comodo dei bagnanti d Torvajanica (Roma Sud), in attesa che i suoi calcino serenamente l’ovale in curva per il riposo dopo i sudati 40 minuti. 

Vince l’Australia, cui spetta la sfida vista e rivista con gli All Blacks di capitan McCaw. Si quello che sta sempre in fuori gioco e ha steso un avversario a gomitate in semifinale. Ma è McCaw, è neozelandese, è il più importante ambasciatore di questo sport, è forse la sua ultima presenza in nazionale e molto più certamente l’ultima in un mondiale, figuriamoci in una finale. Non si può negargli questo tappeto rosso verso una gloria che già possiede a palate.

Bene. Dimenticatevi tutti i discorsi sulla correttezza di questo sport, sui valori differenti, sull’onestà e la limpidezza delle dinamiche del mondo ovale. Se queste ancora prevalgono in campo, tra professionisti e colleghi, spesso amici – come si vede nell’ormai famosa immagine di Williams che abbraccia l’avversario sconfitto Kriel dopo gli 80 minuti della semifinale di ieri – niente hanno più a che vedere con le alte sfere della realtà ovale. In nessun altro ambito del presente, le teorie complottiste contro il sistema dirigente sono così fondate e si riscontranoì tanto quanto nel rugby internazionale d’alto livello. Dal 6 Nazioni, al Rugby Championship al Mondiale c’è sempre una gerarchia dettata dall’International Board e fatta rispettare dagli arbitri marionette come Barnes che vede sempre in cima gli All Blacks, poi l’Irlanda, quindi l’Australia, il Sud Africa e poi gli altri. Guai a mettersi in mezzo. Capito Pumas?

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