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Monti tra poteri forti inesistenti, lobby miopi ed elites riluttanti

Chi sono i poteri forti che il premier dice di avere contro? Forse i poteri forti sono inesistenti, ma purtroppo le lobby miopi sono tante: da quelle politiche a quelle sindacali e a quelle intellettuali – La Confindustria non è più quella di Angelo Costa – Un bel libro di Carlo Galli – Monti deve trovare il coraggio di alzare il tiro.

Monti tra poteri forti inesistenti, lobby miopi ed elites riluttanti

I Poteri forti hanno abbandonato il governo Monti? Lo stesso Presidente del Consiglio lo dice un po’ sul filo dell’ironia ed un po’ sul serio, provocando l’immediata reazione dei giornali delle due estreme che colgono l’occasione per dichiarare finito l’esperimento dei tecnici e per invocare un rapido ritorno alla “politica”. Ma chi sono questi poteri forti? La grande finanza, la Trilateral, Bilderberg, la massoneria? Oppure sul versante italiano la Confindustria, i sindacati, alcuni giornali come il Corriere o Repubblica? Nessuno lo sa, anzi la verità è che in Italia non esistono poteri egemoni, non ci sono élites in grado di coniugare la difesa dei propri interessi con quelli più generali del Paese. Ed è per questo che tendiamo a dissipare le nostre fortune e siamo sempre sull’orlo della catastrofe.

Comunque quella di Monti è una frase infelice, che probabilmente tradisce uno stato d’animo esasperato nei confronti dell’ingratitudine verso chi ha assunto in un momento delicatissimo per il Paese un compito estremamente difficile, con spirito di sacrificio e senza bramosia di potere. Rapidamente, appena ci siamo allontanati solo un poco dall’orlo del precipizio, tutte le corporazioni hanno ripreso a reclamare la loro fetta di torta senza curarsi minimamente della compatibilità generali del sistema. Gli intellettuali appaiono più affezionati alle loro teorie che a dare una mano in concreto per abbattere i mille ostacoli che bisogna superare per far diventare realtà i buoni propositi. I partiti hanno trovato comodo scaricare le loro responsabilità sul Governo confidando nella memoria corta degli italiani che stanno già dimenticando le ragioni di lungo periodo a causa delle quali siamo finiti in un vicolo cieco.

I sindacati sono tenacemente ancorati a vecchie concezioni secondo le quali il lavoro ed il salario si salvaguardano aumentando la spesa pubblica e facendo pagare i ricchi con una imposta patrimoniale e con una tassazione sulle rendite finanziarie (già falcidiate dal crollo delle Borse e del valore delle obbligazioni). La Confindustria dice di voler difendere le imprese e reclama meno tasse e meno burocrazia. Rivendicazioni giuste, ma in un momento tanto difficile, una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe indicare anche “come” raggiungere questi risultati e dare una mano al Governo a sostegno delle sue iniziative riformiste che più intaccano il quieto vivere delle corporazioni più agguerrite. Invece quando si è trattato di fare un po’ di battaglia sul mercato del lavoro e sull’articolo 18, la Confindustria si è prontamente sfilata, lasciando solo il Governo a fronteggiare l’opposizione della sinistra schiava di vecchi e dannosi tabù.

La verità è che anche la Confindustria non si batte più sul versante dell’innovazione, che in passato aveva legittimato la sua esistenza e la sua difesa degli interessi delle imprese, considerati appunto coincidenti con l’interesse generale del paese. Non si ispira più ad Angelo Costa che nel dopoguerra aveva chiarito la missione di Confindustria come organizzazione rivolta non tanto alla difesa delle imprese esistenti ma di quelle future che devono ancora nascere.

Ancora una volta in questa situazione risalta la miopia, l’apatia, la tendenza grettamente conservatrice e pantofolaia delle élites italiane descritta in un bel libro di Carlo Galli: “I riluttanti. Le élites italiane di fronte alla responsabilità”, presentato proprio ieri dalla casa editrice Laterza. Il nostro problema è che ci troviamo di fronte ad una classe dirigente poco ambiziosa, che si limita a difendere i propri interessi particolari accontentandosi di piccoli privilegi o di stipendi (alti, ma non tali da far accumulare grandi patrimoni alla Bill Gates) rifiutandosi di assumere responsabilità più generali ma limitandosi ad esercitare il proprio potere di veto su qualsiasi innovazione che potesse mettere in pericolo il proprio quieto vivere.

Monti ha interpretato il proprio mandato di tecnico alla lettera, rifiutandosi di vedere che una volta a Palazzo Chigi le scelte che si fanno sono comunque politiche, implicano cioè la necessità di superare le resistenze di quanti si sentono minacciati o sconfiggere le ambizioni di quelli che ritengono di poter approfittare della situazione di difficoltà per conquistare il potere. Si è mosso quindi con cautela sui terreni più delicati come quello del taglio della spesa pubblica ed ancor più della revisione del perimetro del settore pubblico, quello cioè controllato dai partiti che sulla intermediazione del denaro che passa dalle istituzioni, foraggiano le clientele e quindi se ne assicurano i voti. Nello stesso tempo si è fatto troppo poco per snellire la burocrazia (uno dei settori più conservatori del Paese), per riformare la magistratura e l’organizzazione dei tribunali che assicurano una Giustizia in tempi così lunghi da non poter essere più considerata vera Giustizia.

Ora il problema è non sprecare questa occasione per rimettere l’Italia in una posizione di maggiore forza in modo da poter affrontare le turbolenze dell’economia mondiale che non sembrano destinate a finire tanto presto. E sul fronte internazionale Monti è per il nostro paese una risorsa preziosa, oggi insostituibile. Il presidente del Consiglio e tutto il Governo devono rendersi conto che governare vuol dire avere pazienza ma anche sfidare al momento opportuno gli avversari per metterli all’angolo ed impedire loro di nuocere. Non bisogna aver paura di dire alla pubblica opinione dove si annidano i veri nemici, evitando di ricorrere a formule vuote come quelle dei così detti “poteri forti”.

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