Non c’è dubbio che il voto di ieri in Grecia e la possibilità che Atene sia guidata (in tempi rapidissimi) da un governo favorevole a cercare di restare nella zona euro rafforzino Mario Monti e la tenuta del suo Esecutivo. Ma le incognite restano. La prima è legata a come evolverà il dialogo internazionale, prima al G20 e poi, a fine mese, al vertice europeo. La seconda dipende dalla tenuta della “strana” maggioranza di Pd, centro e Pdl. In particolare è nel Pdl che sono emersi in queste ultime settimane molti mal di pancia sul sostegno a Monti. Al punto che nel partito di Alfano e Berlusconi non è mancato chi si sia dimostrato tentato dalla possibilità di togliere il sostegno al governo, magari per puntare ad una campagna elettorale subito, imperniata sulla nostalgia nei confronti della lira. Magari in sintonia con un ritorno della dracma in Grecia. Operazione nostalgia che dopo il voto di Atene appare un po’ più problematica.
Ma cominciamo da Monti. Il presidente del Consiglio, prima del voto greco aveva messo in chiaro quali erano i due presupposti perché l’Italia arrivasse nelle migliori condizioni possibili al vertice europeo di fine mese. Il primo è la tenuta della maggioranza; il secondo (strettamente connnesso al primo) l’approvazione in Parlamento della riforma del lavoro.
Tenuta della maggioranza. Casini (e questo vale per l’Udc e più in generale per l’area del cosiddetto terzo polo) sostiene che sarebbe sia un peccato che un reato staccare ora la spina al Governo. Bersani conferma che il Pd (che pure ha molte riserve sulla questione degli esodati e non è favorevole alla politica degli annunci per quanto riguarda il decreto sviluppo) considera irreversibile la scelta del sostegno a Monti fino al termine della Legislatura, visto che l’emergenza Italia viene prima di tutto.
I problemi vengono invece dal Pdl. Intendiamoci: per ora il segretario Alfano si è mostrato, forte del sostegno di Berlusconi, in grado di fronteggiare le tentazioni, vuoi di Brunetta e Santanchè, vuoi dell’area ex An, di staccare la spina a Monti ed andare ad elezioni a ottobre. Negli ultimi giorni però anche Alfano, probabilmente per i dubbi di Berlusconi, si è mostrato meno benevolo verso il Governo. Così, dopo che sui retroscena dei giornali si è cominciato a scrivere di un Berlusconi tentato dalla pazza idea di andare alle elezioni cavalcando il malumore anti euro e anti tasse e proponendo magari la pazza idea di un ritorno alla lira (ipotesi queste sinora mai smentite), anche Alfano è sembrato prendere le distanze dal governo. E così il segretario si è mostrato più che deluso dalle prime notizie sul decreto sviluppo, osservando che il Governo aveva stanziato appena un miliardo e non 80 come titolavano i giornali.
Probabilmente Berlusconi e, in parte, anche Alfano pensano che su questa linea sia possibile recuperare l’alleanza con la Lega. Ieri da Verona, Bossi, ma anche Maroni, hanno usato toni durissimi nei confronti del governo, invitando il Pdl a staccare subito la spina per riprendere il dialogo. Ma soprattutto pesa nel Pdl il malinconico declino di Berlusconi e l’affievolimento del sostegno dell’elettorato. I sondaggi parlano di un Pdl al di sotto del 15 %. E Berlusconi è convinto che il sostegno a Monti costi al partito un punto a settimana. Di qui le tentazioni di rompere gli indugi e andare alle elezioni, magari con una campagna elettorale tutta imperniata su “forza lira”. Idea che da oggi però non può contare sull’incidente che sarebbe potuto venire da una sconfitta dei partiti europeisti in Grecia. Invece Atene non ha detto “forza dracma”.
E allora ci sono buone possibilità che le due condizioni di Monti per arrivare al meglio al vertice europeo si verifichino. A cominciare dall’approvazione della riforma del mercato del lavoro. Il presidente della Camera Fini ha spiegato che, se ci sarà il sostegno del Pd e del Pdl, potrà essere approvata entro il 28 di giugno. Vedremo. Intanto c’è chi (anche questa volta nel Pdl) invita Monti a fare la voce grossa con la cancelliera tedesca per portare qualcosa a casa. Non sembra la strada migliore. Del resto la voce grossa non l’ha mai fatta Berlusconi quando era premier. Meglio per Monti presentarsi al vertice europeo con il suo stile, magari rifacendosi al discorso di Alcide De Gasperi, alla Conferenza della pace di Parigi dell’agosto del 1946, all’indomani della fine della guerra, della sconfitta dell’Italia e della caduta di Mussolini e del fascismo. Lo statista trentino esordì così: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto tranne la vostra personale cortesia è contro di me”…Poi le cose si misero meglio. Anche per l’Italia.