Perché e per conto di chi lo ha fatto? Questo e’ stato l’interrogativo prevalente che politici e giornalisti si sono posti a conclusione del duro attacco sferrato mercoledì in Senato da Mario Monti al Presidente del Consiglio sulla politica europea. Segno della vocazione complottistica e dietrologica del nostro sistema politico e dell’informazione o sospetto fondato su fatti concreti? Nel merito, si sono scontrate due visioni di politica economica e due visioni opposte circa le condizioni che possono salvare l’Europa dalla disintegrazione. Nel metodo il tono durissimo e talvolta aggressivo usato dal Senatore Monti , solitamente pacato e misurato, rivela l’idea che si debba e si possa dare forma politica alla visione opposta a quella portata avanti dal Governo Renzi e condivisa da molti ambienti tecnocratici, finanziari e politici europei oltre che da alcune cancellerie europee. Stimo moltissimo il Professor Monti (nella cui lista sono stata eletta nel 2013) e credo che il Paese intero gli debba gratitudine per aver affrontato la crisi del 2011 caricando su di se’ l’impopolarita’ di misure dure ma necessarie votate (e poi vigliaccamente rinnegate ) da tutti i partiti. Cio’ detto , come dimostra anche la vicenda di Scelta Civica, dalla sua nascita alla campagna elettorale fino alla rapida uscita di scena del Professore dall’agone politico, la politica e le sue dinamiche non sono esattamente nelle sue corde
Monti sicuramente interpreta un mood diffuso in alcuni ambienti europei ed anche, in Italia, nell’ambiente degli europeisti storici che vivono con disagio i toni da orgoglio nazionale spesso utilizzati dal nostro premier e che soprattutto temono che una politica tutta basata sulla richiesta di ” flessibilita” ovvero di finanziamento in deficit di ulteriori riduzioni fiscali possa ridurre la credibilita’ internazionale dell’Italia e possa di nuovo creare un effetto destabilizzante sul nostro debito pubblico e sulle banche che ne possiedono notevoli quote. Preoccupazione non peregrina ma a cui Renzi ha in questi due anni risposto con una svolta decisa sulle riforme istituzionali, economiche e sociali. Una politica volta a rendere sostenibile il debito puntando sulla crescita e non solo su un rigore che ha in questi anni sfiancato il Paese, distrutto il ceto medio, e messo in ginocchio il Mezzogiorno. Una strategia condivisa, quando non stimolata, dal Presidente della BCE come contripartita italiana al QE. E d’altra parte proprio il Presidente “emerito” Monti sa , per esperienza diretta, quanto sia difficile nel nostro sistema realizzare il cambiamento che invece il Governo Renzi ha sin qui portato avanti. Dunque da Monti ci si potrebbe aspettare caso mai una sferzata in questo senso, per segnalare un’attenuazione e un indebolimento della spinta riformista ( la legge sulla concorrenza che il Senato sta discutendo rischia di uscire debolissima, i decreti attuattivi della riforma pa non mantengono tutte le promesse annunciate), piuttosto che alla mera riproposizione non solo del rispetto delle regole (da cui l’Italia in ogni caso, non si discostera’) ma di una adesione acritica alla logica del fiscal compact. Una logica che ,pure , la nuova Commissione si era impegnata a correggere con una politica europea tutta votata alla crescita mentre il Piano Juncker stenta a produrre effetti anticiclici e di eurobond per il finanziamento degli investimenti europei in grandi infrastrutture non si parla piu’.
E al contempo, mentre l’ Europa vive lo sconvolgimento delle grandi migrazioni e i paesi europei devono fronteggiare la minaccia del terrorismo le risposte sono quelle di nazionalizzare la gestione dell’ immigrazione e di marginalizzare alcuni paesi dall’area Schenghen. Ma su questi aspetti, che rischiano anch’essi di creare fratture irreparabili nell’ Unione Europea, Monti ieri non ha parlato con la durezza riservata al nostro Premier.
A Renzi possono essere legittimamente rivolte critiche sulla gestione di singoli dossier o anche sulla gestione dei rapporti con alcune istituzioni europee ma non si puo’ non riconoscergli, soprattutto da parte di chi vuole davvero proteggere l’Europa dall’ondata di populismo xenofobo e nazionalista da cui e’ minacciata, di riuscire a interpretare il malessere degli italiani ( che, ricordiamolo, rimangono i piu’ europeisti) anche talvolta alzando i toni, per costruire una Europa piu’ politica all’altezza delle sfide del nostro tempo . Renzi e il suo modo di stare in Europa impediscono che gli effetti sociali della crisi siano cavalcati dai partiti populisti in chiave antieuropea. E allo stesso tempo lavora per una ridefinizione ed un rilancio dell’ identita’ europea. La riunione dei ministri degli esteri promossa dal ministro Gentiloni in vista delle celebrazioni, nel 2017, dei sessant’anni dei Trattati di Roma va esattamente in questo senso.
Il cambiamento, le riforme, per essere portate avanti hanno bisogno del consenso politico. Non e’ piu’ tempo di soluzioni tecnocratiche o elitarie. Oggi una crisi del Governo Renzi che fosse il frutto di attacchi sui mercati finanziari non avrebbe l’esito del 2011 ma consegnerebbe l’Italia , e forse non solo l’Italia, in mano ai populisti di ogni risma. Meglio non scherzare con il fuoco.