All’inizio furono i sacchi a pelo imbottiti in piuma e le tende da campeggio (con i tubi leggeri e la tela di colore azzurro). Poi arrivarono anche i piumini, ma servivano a riparare dal freddo gli operai della Moncler, azienda creata da René Ramillon nel 1952 in montagna (a Monastier de Clermont, vicino a Grenoble) e per la montagna. Non a caso a lanciarla fu un famoso alpinista francese, Lionel Terray, che chiese a Ramillon di realizzare per lui un intero “guardaroba” adatto ai climi più severi.
Da allora molto tempo è passato e Moncler oggi è un’azienda che ha conquistato il successo facendo del piumino un capo non solo da città ma sempre più di lusso, anche da gran sera.
Prima di riuscire a occupare a pieno titolo un posto nel mondo del lusso, l’azienda nata in Francia e passata agli italiani nel 1992, si era trovata a navigare per qualche tempo in acque agitate. Certo, negli anni 80 i suoi piumini con colori molto vivaci avevano segnato tra i ragazzi di città uno stile all’inizio molto preciso, in netta contrapposizione con gli eskimo dei giovani contestatori dell’epoca, poi semplicemente una moda sempre più diffusa, anche tra i bambini. Poco dopo la holding Fin.part, presieduta da Gianluigi Facchini, aveva cominciato a perdere colpi e segnare bilanci in rosso. Difficoltà avevano coinvolto non solo Moncler ma anche gli altri marchi del gruppo Pepper Industries, controllata da Fin.part: Henry Cotton’s, Marina Yachting e Boggi, oltre a Cerruti. Maska e Frette per il tessile casa.
Nel 2003 Moncler fu ceduta a una società controllata al 51% da Remo Ruffini, ma Pepper Industries rimase socia al 25% (terzo azionista era una società finanziaria del gruppo Bucherer). Più tardi Fin.part viene messa in liquidazione, e tutto passa nelle mani di Brands partners (di proprietà della holding Mittel), di Ruffini e di pochi altri azionisti finanziari. Insieme ai marchi già di Fin.part entra anche il brand padovano Coast Weber & Ahaus.
Comincia così l’era del piumino globale, come la definì Ruffini, l’abile registra del rilancio del gruppo. Nel 2005 il gruppo fatturava 192 milioni. Ruffini chiama grandi stilisti come Alessandra Facchinetti o Giambattista Vialli per disegnare le collezioni di alta gamma, o ancora Thom Browne per la linea maschile. A fine 2008 i ricavi sono già saliti a 290 milioni (il 40% all’estero) e Carlyle Group ne acquista il 48% mentre Ruffini continua a guidare la società con il 38% del capitale. Nel 2008 la situazione si stabilizza: il 100% del capitale passa a una srl chiamata Fuori dal sacco, partecipata da Carlyle (48%), Ruffini partecipazioni (38%), Brand Partners 2 (13,5%) e per il resto dal management.
A distanza di due anni circa prende sempre più corpo l’ipotesi di una quotazione in Borsa del gruppo che nel 2009 ha raggiunto 372 milioni di euro di fatturato (+23%). E anche in vista di questo obiettivo nel luglio scorso Alberto Lavia è chiamato a ricoprire il ruolo di amministratore delegato, che prima non esisteva.
Si aprono negozi a Parigi, a Milano, a New York, a Londra. I ricavi continuano a crescere nonostante la crisi, e in particolare crescono quelli di Moncler, che rappresentano più di due terzi del totale. Lo sbarco al listino si avvicina: l’assemblea modifica la società da srl a spa, arriva il via libera di Borsa italiana e della Consob, tutti si attendono l’inizio del road show poi, all’improvviso, la svolta. “Valutate le condizioni dei mercati finanziari” si legge nel comunicato di Moncler, gli azionisti hanno deciso di non procedere all’Ipo e di rinviare il progetto di quotazione a una fase successiva. È di ieri l’accordo per l’ingresso nel capitale (con il 45%) del fondo francese Eurazeo. Un’altra conquista francese nel mondo del lusso.