PER PFIZER UN FATTURATO DI 33,5 MILIARDI NEI VACCINI
The winner is… Difficile avere dubbi ancor prima che volga al termine la campagna delle trimestrali. In cima alla graduatoria svetta Moderna, la biotech Usa guidata dal francese Stephane Barcel che, al pari dell’accoppiata Pfizer/Biontech, ha puntato l’attività di ricerca sul Covid-19 e sullo sviluppo di terapie basate sull’RNA messaggero, assieme al DNA una delle due molecole che trasmette le informazioni genetiche specifiche per ogni organismo vivente. La straordinaria resa del vaccino (ancora efficace al 93% sei mesi dopo la seconda dose) combinata con l’altrettanto straordinaria rapidità con cui si è chiusa la ricerca (solo 42 giorni dopo la pubblicazione della sequenza genetica completa del SARS-CoV-2) ha favorito un exploit finanziario in linea con il successo scientifico: la trimestrale pubblicata giovedì registra un utile di 2,8 miliardi di dollari (più del doppio rispetto agli 1,2 miliardi di un anno prima) su un fatturato di 4,2 miliardi. Più delle stime già generose degli analisti, rafforzate dagli studi più recenti che dimostrano come il vaccino di Moderna sia ancor più efficace di quello di Pfizer.
La rivalità tra i due competitor, insomma, è più viva che mai. Ma cede il passo agli interessi della lobby al momento di confrontarsi con le istituzioni. Ha fatto scalpore, ad inizio settimana, la notizia, anticipata dal Financial Times, che i due gruppi sono riusciti a strappare un congruo aumento al principale cliente, l’Unione Europea. Le prossime forniture verranno effettuate a prezzi maggiorati: 19,50 euro contro 15,50 per una dose di Pfizer; 21,50 contro 19 per Moderna. Un aumento che, secondo le autorità di Bruxelles è giustificato dalle correzioni introdotte nei vaccini (tutti prodotti sul suolo europeo) per far fronte alle varianti del vitus, a partire dal famigerato Delta.
Cifre che non trovano, per la verità, riscontri ufficiali, ma sono comunque sufficienti ad alimentare le polemiche verso i giganti, a partire da Pfizer e dalla sua collegata tedesca Biontech, ai cui proprietari turchi va ascritto buona parte del merito per aver sviluppato la ricerca sull’m-rna che promette grandi ritorni per numerose terapie. Il colosso Usa, uno tra i primi a sfruttare i benefici fiscali sulla ricerca introdotti anni fa dal Regno Unito, si avvia a chiudere il 2021 con un giro d’affari di 80 miliardi di dollari, dieci in più di un anno fa.
Un risultato reso possibile dalla diffusione del vaccino anti-Covid che entro l’anno sarà venduto in almeno 2,1 milioni di dosi per un giro d’affari di 33,5 miliardi di dollari, molti di più dei 21 miliardi stimati a maggio o dei 15 della prima stima di febbraio. “Non c’è nulla di paragonabile nella storia dei pharma”, si è spinto a dire Albert Bourla, il ceo greco (figlio di due deportati ebrei) della multinazionale Usa che ha iniziato la sua carriera come veterinario, cui va il merito di aver concentrato tutti i mezzi del colosso che produce il Viagra nella lotta al virus. Un grande successo che, per gli analisti di Wall Street, si misura in 4 dollari in più di profitto per ciascun titolo della già ricchissima ammiraglia del pharma a stelle e strisce che, a differenza di Astra Zeneca, non si è impegnato a non trarre utili dal vaccino.
Pfizer guida di gran lunga la corsa allo sfruttamento economico della guerra al Covid-19 in Usa come in Europa. Sulle 4,4 miliardi di dosi prenotate dalla Ue con sei diverse case, ben 1,8 miliardi fanno capo a Pfizer. Nei primi sei mesi, su 527 milioni di dosi, il 68% circa proveniva dai laboratori tedeschi della coppia Pfizer/Biontech contro gli 87 milioni in arrivo da AstraZeneca e i 52 di Moderna, peraltro in piena accelerazione. La casa ha firmato contratti per un valore di 12 miliardi di fatturato l’anno prossimo più opzioni per altri 7-8 miliardi a fronte della produzione di 2-3 miliardi di dosi, comunque alle spalle di Pfizer e degli altri concorrenti pronti a rifornire nel 2022 le dosi necessari per la battaglia contro il virus che si combatterà sia in Europa che in Usa ma, soprattutto, in quella parte del mondo troppo povera per sostenere una campagna vaccinale aumentando il divario tra i Paesi ricchi (dove ci si può permettere il lusso no-vax) e quelli poveri (in Namibia solo l’1% della popolazione è stato finora vaccinato).
Non sono pochi i gruppi che affilano le armi per partecipare alla sfida, dai francesi di Sanofi all’americana Novavax, entrambe pronte a chiedere l’autorizzazione per vaccini molto promettenti alle autorità americane ed europee, così come la britannica Gsk e la biotech CureVac. Ciascuna di queste società è pronta a vendere l’anno prossimo vaccini per 6 miliardi di dollari ciascuna, secondo i conti della società di ricerca Airfinity. Un’enormità, se si pensa che un farmaco di grande successo di rado supera la soglia di un miliardo di vendite. Ma questo valeva per il mondo pre-pandemia…