Sarà vera gloria? I primati delle Borse, si sa, sono ballerini. Ma le quote conquistate dal made in Italy sui mercati internazionali lasciano ben sperare. E di sicuro, torna a crescere la voglia di made in Italy tra i grandi operatori, convinti che il Bel Paese possa presto offrire grandi opportunità. Alla luce, in particolare, dei delicati passaggi che attendono in futuro i protagonisti del sistema moda. Non a caso il Financial Times ha appena dedicato al Bel Paese un lungo servizio dal titolo eloquente: “Fine corsa? Le case di moda italiane alle prese con il dilemma della successione”. Non è, per la verità, un tema nuovo. Più volte, in passato, l’Italia ha fronteggiato con alterna fortuna situazioni del genere. Basti, al proposito, citare la sventurata jv tra Versace e Gucci che, assicura Santo Versace, avrebbe costituito il primo nucleo di un’ammiraglia del sistema. Ma la morte a Miami di Gianni Versace spezzò le fila del progetto. La maison Versace prese la strada degli Usa, prima ancora Gucci divenne il nucleo forte di Kering, il gigante di casa Pinault. E non si può trascurare l’amara lezione di Hdp: sotto la regia di Mediobanca e la guida della famiglia Romiti doveva nascere un colosso tra moda (vedi Valentino e Marzotto) ed editoria. Ma, complice l’assenza di una leadership adeguata, il progetto naufragò. Una vicenda amara soprattutto perché, in parallelo, Oltralpe prendeva corpo negli stessi anni, sotto la regìa del sistema bancario, l’avventura di Bernard Arnault, capace di aggregare una dopo l’altra 70 griffes sotto il tetto di Lvmh, oggi la società più capitalizzata d’Europa, con un solido retroterra italiano, da Bulgari a Loro Piana.
Proprio l’insaziabile Arnault è il primo indiziato di una nuova campagna di shopping in Italia. Senz’altro nel mirino c’è Tod’s, già partecipata al 10%, anche se la famiglia Della Valle non sembra in procinto di vendere. Più facile che Lvmh rafforzi la sua presenza nel mondo degli occhiali (Safilo) piuttosto che in altri settori del Life Style, a partire dagli alberghi. Ma il vero oggetto del desiderio, il Santo Graal che può rappresentare la mèta finale del “lupo in cachemire” è un’altra: l’acquisto dell’eredità del vino Giorgio.
Il mondo del business s’interroga sul futuro di Armani
In realtà Armani, a giudicare dalle scene di giubilo in occasione dell’ultimo scudetto di basket della sua Olimpia, gode per fortuna di buona salute. Ma lui stesso, dopo aver blindato la successione dell’impero dal punto di vista finanziario, ha affrontato di petto il tema nella sua biografia. “Il successo della Giorgio Armani sta nel fatto che dipende dalle scelte di una sola persona coadiuvata da collaboratori fedeli – ha spiegato -. Comunque, è quasi fisiologico pensare a un assetto futuro, a quella che i giornali, un po’ crudelmente, chiamano ‘la successione di Armani’, una realtà che mi porto sulle spalle ormai da vent’anni. La successione l’ho in mente, e ci sarà. Il piano l’ho preparato, con il mio usuale pragmatismo e la mia grande discrezione, ma non lo rivelo adesso, perché ci sono ancora. Io continuo a lavorare”. Proviamo ad interpretare: no alla corte di Arnault ma anche no, a maggior ragione, all’inserimento in un gruppo con radici del tutto diverse come Exor, presente nel lusso grazie a Ferrari, ma anche a Louboutin ed alla cinese Shang Xia, acquistata su suggerimento di Hermés. Non è escluso che, una volta blindata la Fondazione Armani con uno statuto a prova di bomba (modello Rolex), l’azienda possa crescere in maniera organica, deludendo le aspirazioni dei bankers europei ed americani.
Da Prada a Zegna, Milano sogna il grande rientro a Piazza Affari
Lasciando da parte Armani, la seconda metà del 2023 potrebbe segnare l’arrivo di Piazza Affari di Prada. Entro l’anno, infatti, l’ad Andrea Guerra dovrebbe portare l’azienda, già quotata ad Hong Kong, anche nei recinti di Piazza Affari. Sarà l’occasione per presentare al grande pubblico Lorenzo Bertelli, figlio di Patrizio e Miuccia Prada, destinato a prendere nel tempo la leadership dell’azienda e ad assumere il ruolo di emergente numero uno del sistema moda italiano. Assieme ad un altro rampollo d’oro: Edoardo Zegna, figlio di Ermenegildo detto Gildo, entrato in azienda dopo aver rispettato le tappe di una dura gavetta fuori dai confini di casa: prima la laurea, poi cinque anni in Gap prima di assumere la guida dell’omnichannel dell’azienda di abbigliamento maschile, la prima ad aver sfondato sul mercato cinese.
Il destino lega le sorte delle due dinastie: entrambi i gruppi hanno per ora disertato Piazza Affari, a favore di mercati disposti a riconoscere il valore di gruppi export oriented e cioè Hong Kong per Prada, Wall Street per Zegna in ottima salute (12,65 l’ultima quotazione contro 10,20 dell’esordio). Ma il legame industriale è ben più stretto. All’inizio di giugno Prada e Zegna hanno raggiunto un accordo per l’acquisto di una partecipazione di minoranza (15% ciascuno) nella Luigi Fedeli e Figlio, azienda familiare alla terza generazione, riconosciuta eccellenza della maglieria italiana. È la seconda operazione condotta in sintonia tra i due gruppi dopo l’acquisto nel 2021 del controllo della Filati Biasioli, altro patrimonio del tessile abbigliamento di casa nostra.
Tante strategie per crescere
La strategia, dunque, consiste nel dare un futuro al cuore del made in Italy, ovvero alla filiera di lavorazioni dalla materia prima al semilavorato fino al prodotto finito che, più dei marchi, è il vero plus del sistema abbigliamento di casa nostra. Come può testimoniare una visita ad uno dei laboratori meno noti ma più strategici dell’abbigliamento italiano: la Zamasport di Novara, la prima fabbrica di Walter Albini (maestro riconosciuto dello stile italiano) e di Gianni Versace che negli anni Ottanta si è specializzata nella sola produzione: un atelier ove, come capita nei capannoni della F.1, vengono confezionati i prototipi che sfileranno a Milano e a Parigi. È in posti come questo, diffusi un po’ un tutte le regioni, che prende corpo quell’eccellenza artigianale che è riconosciuta dai maestri francesi, i primi estimatori della filiera nostrana, come tra l’altro dimostra l’attenzione di Gucci per l’indotto fiorentino.
C’è ancora spazio per un polo italiano del lusso? Renzo Rosso ha un’altra idea e nel 2024 quoterà OTB
C’è chi dice di no ma nei fatti ci prova. È il caso di Remo Ruffini di Moncler, a lungo corteggiato da Kering, che l’anno scorso ha accolto nella sua scuderia Stone Island, il brand di un figlio d’arte, Carlo Rivetti, erede di una delle grandi famiglie del ‘900 alla guida del Gft, ma ha negato l’ambizione di far da pivot di un italiano. Ma molto attivo è anche Renzo Rosso di Diesel, che pure non disdegna lo shopping internazionale ma che pensa a un network diffuso di eccellenze anziché a un polo nazionale della moda e che nel 2024 quoterà la sua holding OTB. In tutti i casi, comunque, la successione sembra in mani sicure.
Al di là dell’attenzione dei grandi gruppi del settore, per ora non sembra esserci un grande spazio per investitori finanziari. Certo, il boom della liquidità favorisce le attenzioni per il settore, ma non sono molti i gruppi già strutturati, pronti per essere inseriti sui mercati senza un grande lavoro preliminare. Merita al proposito seguire l’esperienza del gruppo Florence, la creatura di un cavallo di razza del settore, cioè Francesco Trapani (ex Bulgari) che ha già radunato, assieme al Fondo Italiano di Investimenti, decine di terzisti del fashion con l’obiettivo di dar vita ad un polo originale.
Per il resto, tra i Big il più chiacchierato in vista di una possibile cessione resta Salvatore Ferragamo, forte di una solida clientela cinese. Ma è difficile che si arrivi ad un deal prima del pieno recupero del giro d’affari in Oriente. Non è da escludere, semmai, un ritorno di interesse da parte dei finanzieri del Golfo, a partire dal qatarino gruppo Mayhoola, proprietario di Valentino.
Prima, però, Piazza Affari spera in uno sbarco di successo di Prada, che faccia da calamita per un rilancio dell’appeal della Borsa per i grandi delle sfilate in vista di una stagione di M&A. E, magari nel ritorno di EssilorLuxottica, che brilla in quel di Parigi. Leonardo Del Vecchio aveva promesso la doppia quotazione. Piazza Affari ci spera.