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Moda, Mediobanca: in Italia livelli pre-Covid solo nel 2023

Secondo un’analisi dell’Area Studi Mediobanca, nel 2020 il giro d’affari del settore è crollato del 23% – Quest’anno dovrebbe iniziare la ripresa, ma non sarà rapida

Moda, Mediobanca: in Italia livelli pre-Covid solo nel 2023

L’effetto Covid sul sistema moda è stato devastante, al punto che “i primi nove mesi del 2020 segnano per i maggiori player mondiali del fashion una riduzione del giro d’affari cinque volte maggiore di quella registrata dalla grande industria”. È quanto si legge in un report dell’Area Studi Mediobanca che analizza i dati finanziari di 80 multinazionali del settore e delle 177 maggiori aziende italiane della moda.

Nel nostro Paese, le società del comparto con un fatturato superiore a 100 milioni chiudono il 2020 con un crollo del fatturato che “dovrebbe attestarsi al -23%”, prosegue l’analisi, sottolineando che la ripresa dovrebbe iniziare quest’anno ma il ritorno ai livelli precrisi non avverrà prima del 2023.

L’andamento del mercato italiano è in linea con quello europeo ( -23,7%), che ha sofferto pesantemente il blocco dei flussi turistici, mentre quello asiatico ha visto un calo più contenuto (-10,1%, escludendo il Giappone).

Per quanto riguarda i canali di vendita, “in tutte le aree geografiche le vendite online hanno avuto un’accelerazione a doppia cifra”, scrivono gli esperti di Mediobanca, rilevando che la crescita media dell’e-commerce nel settore moda è stata addirittura del 60%.

Infine, dall’analisi della varietà di genere nei board delle 80 multinazionali mondiali della moda (dati 2019) emerge che “la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità in azienda: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 65,9%, ma scende al 29,3% a livello di Cda – si legge ancora nel report – I gruppi statunitensi hanno più consiglieri donna (34,1%) rispetto a quelli europei (27,9%). Ampiamente sopra la media europea si collocano i player francesi e britannici con una quota di donne presenti nei Cda pari rispettivamente al 43,1% e 36,9%. I gruppi italiani si fermano al 21,3%. Le meno rappresentate nelle loro aziende sono le donne giapponesi: solo una ogni dieci consiglieri”.

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