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Moda, i big ci mettono faccia (e portafogli): ora il budget della Camera Nazionale è di 4,7 milioni

La Camera Nazionale della Moda Italiana ha deciso di voltare pagina sul serio: le grandi aziende della moda hanno finalmente deciso di farsi carico del problema del budget, che ora, grazie a quote associative che arrivano a 250 mila euro (prima erano di 20 mila euro al massimo), sfiora i 5 milioni di euro.

Moda, i big ci mettono faccia (e portafogli): ora il budget della Camera Nazionale è di 4,7 milioni

La Camera Nazionale della Moda Italiana ha deciso di voltare pagina sul serio. Stavolta i big ci mettono la faccia e aprono perfino i cordoni della borsa per qualcosa che non riguarda strettamente la loro ditta. Il fashion system italiano, che ha come baricentro Milano, stava rischiando di perdere la leadership mondiale e, dopo anni di polemiche interne e attacchi dall’estero, non bastavano più le parole. Inutile continuare a lamentarsi di una città poco attraente e accogliente, di calendari  troppo corti e concentrati, di poco spazio per i nuovi talenti, di una generale disattenzione da parte della politica. Le grandi aziende della moda hanno finalmente deciso di farsi carico del problema, entrando direttamente negli organismi della Cnmi e versando quote associative che arrivano a 250 mila euro (prima erano di 20 mila euro al massimo). Il nuovo budget (4,7 milioni di euro) è ancora lontano dalle 8 mila sterline dell’analoga associazione britannica che organizza le sfilate di Londra, ma possono bastare per iniziare seriamente un rilancio degli eventi italiani, tenendo conto che poi ci sono anche gli sponsor e il contributo (500 mila euro) della Camera di Commercio di Milano.

    A fare la differenza con il passato è anche, da ieri, un ufficio di presidenza di peso, con quattro vicepresidenti, Patrizio Bertelli vicario, Diego Della Valle (neo iscritto alla Cnmi), Angela Missoni, Gildo Zegna, e due consiglieri delegati, Giovanna Gentile Ferragamo e Stefano Sassi (ad Valentino). Oltre a loro, del nuovo direttivo, eletto lo scorso 17 aprile, fanno parte, il presidente riconfermato Mario Boselli, quindi Lavinia Biagiotti Cigna, Carlo Capasa (Costume National), Patrizio di Marco (Gucci), Jacopo Etro, Massimo Ferretti (Aeffe), Marialuisa Gavazzeni Trussardi, Sergio Loro Piana, Luigi Maramotti (Max Mara), Renzo Rosso, Carla Sozzani (10 Corso Como), Silvia Venturini Fendi.  Mancano all’appello solo Giorgio Armani e Dolce & Gabbana: finora sono entrati nel calendario delle sfilate anche se non erano iscritti alla Cnmi, ma ora dovranno superare questa ambiguità altrimenti, da settembre, saranno tagliati fuori. Tanto più che perfino i marchi appartenenti a grandi gruppi francesi, come Gucci di Ppr, sono iscritti alla Cnmi e lo è anche la maison Valentino, che da 40 anni sfila a Parigi ma che si è impegnata a organizzare a Milano grandi eventi durante le settimane della moda.

    Perché questo nuovo fervore?  ”Siamo tutti colpevoli, stilisti e imprenditori – ha detto Bertelli – di non aver colto nel modo giusto le opportunità degli anni 90, pensando che il successo di Milano potesse continuare da solo. Tutto il sistema ora deve fare un mea culpa’’, prima che sia troppo tardi e che le altre capitali della moda ci schiaccino. Per il calendario delle sfilate milanesi, problema spinoso da sempre, ci sarà una apposita commissione ma già e’ stato deciso che Milano non si adatterà ai programmi delle altre città: questo vuol dire che la fashion week milanese, per la moda donna, sarà sicuramente di sei giorni, senza cedere alle pressioni degli americani che vorrebbero ridurre l’appuntamento italiano a un week end lungo. ‘’Che il direttore di Vogue Usa, Anna Wintour, voglia o meno venire a Milano sin dal primo giorno è un problema suo, non è la Camera della Moda che si deve adattare ma è la signora Wintour che si deve adeguare” ha detto senza infingimenti Bertelli. Il vicepresidente vicario ha aggiunto: ”faremo in modo che le grandi firme siano ben distribuite dal primo all’ultimo giorno e che i giovani talenti non siano messi tutti alla fine e quindi saltati dalla stampa che lascia Milano per correre a Parigi. E poi vorremmo che il calendario rimanesse più o meno uguale per almeno quattro stagioni”.

   Il punto più basso per Milano, che Boselli oggi ha chiamato ”il momento indecente”, è stato vissuto circa tre anni fa, da allora e’ cresciuta la consapevolezza di dover in qualche modo rilanciare l’organizzazione italiana della moda. Perché l’attacco al primato del made in Italy avviene anche su questo piano. E nessuno pensa però di poter andare a chiedere qualcosa, soprattutto finanziariamente, alla politica locale o nazionale: ”i ministri di questi tempi hanno altro cui pensare”, anche se quello della moda è un settore che sta reggendo e, a seconda del perimetro di calcolo, occupa direttamente dalle 560 alle 650 mila persone, più un vasto  indotto che – è stato detto  – supera forse il settore metalmeccanico.  Insomma la moda si rimbocca le maniche e cerca di far da sola (come dal resto ha fatto espandendosi all’estero: ”le nostre ambasciate – ha detto Bertelli – non hanno mai fatto politica commerciale”).

   Ora dunque tutti i capi azienda si sono impegnati a trovare uno spazio per un impegno diretto nelle 8 commissioni, quella che dovrà trovare un amministratore delegato per la nuova versione manageriale della Cnmi, quella che stenderà il nuovo statuto, quella che si dedicherà ai calendari delle sfilate, le commissioni che hanno l’incarico di dialogare con i vari protagonisti del sistema moda e con i distretti tessili, quella per la Grande Milano che inventerà eventi e iniziative anche in vista dell’Expo, poi la commissione che lavorerà al nuovo accordo per il retail firmato con la Cina.

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