In una delle sue famigerate esplosioni di collera comunicate al mondo attraverso i social media, Donald Trump si è scagliato contro James E. Boasberg, il giudice capo della corte federale per il distretto di Columbia, proponendone addirittura l’impeachment.
Quale sarebbe la colpa di Boasberg? Avere firmato un’ordinanza per cercare di bloccare l’espulsione di circa 250 immigrati irregolari venezuelani, presunti appartenenti alla gang criminale Tren de Aragua, che la settimana scorsa Trump ha fatto deportare in Salvador.
L’amministrazione Trump ha ignorato l’ingiunzione di Boasberg, sostenendo che era stata emessa quando i due aerei che li stavano trasportando erano ormai usciti dallo spazio aereo degli Stati Uniti e, quindi, si trovavano al di fuori della giurisdizione del magistrato. Così i 250 venezuelani sono arrivati in Salvador, come programmato da Tom Homan, lo “zar dei confini”, cioè il principale responsabile delle politiche di deportazione del governo.
Perché l’amministrazione Trump si è accanita contro Boasberg
Boasberg non è certo un “lunatico sinistrorso radicale”, come lo ha definito Trump su Truth Social. È vero che nel 2011 fu scelto dal democratico Barack Obama per la corte federale per il distretto di Columbia, ma venne confermato all’unanimità dal Senato, quindi anche con il voto di tutti i membri repubblicani dell’epoca, e nove anni prima era stato nominato dal repubblicano George W. Bush come giudice della Superior Court dello stesso distretto.
Inoltre, nel 2017, si era espresso a favore di Trump, stabilendo che l’Electronic Privacy Information Center, un gruppo di ricerca, non poteva costringere l’Internal Revenue Service (l’analogo statunitense dell’Agenzia delle Entrate) a rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi del tycoon senza l’autorizzazione di The Donald o senza un mandato della commissione del Congresso che si occupa delle questioni fiscali.
Boasberg di fatto non è neppure riuscito a impedire la deportazione degli immigrati venezuelani. Eppure, la controversia con Boasberg è diventata l’ultima frontiera della lotta di Trump contro il cosiddetto Deep State, l’apparato burocratico che – a dire del tycoon – vorrebbe impedirgli di attuare il programma per il quale è stato rieletto alla Casa Bianca e di cui la deportazione in massa degli immigrati irregolari costituisce un punto qualificante.
Il suo vicecapo di gabinetto, Stephen Miller, ha sostenuto che “l’idea che un singolo giudice distrettuale abbia l’autorità di dirigere, come se fosse lui il presidente, i movimenti di aerei intorno al globo” è “oltraggiosa”.
È possibile che Trump voglia vendicarsi di Boasberg in quanto, nel 2023, il magistrato aveva ingiunto all’ex vicepresidente Mike Pence di testimoniare di fronte alla commissione d’inchiesta della Camera sui fatti del 6 gennaio 2021. Le dichiarazioni di Pence contribuirono all’incriminazione di Trump per incitamento all’insurrezione in un procedimento penale che è stato archiviato con il ritorno di The Donald alla Casa Bianca.
Da questa prospettiva, la campagna contro il giudice si colloca all’interno di un lungo pregresso di denunce riguardo a una presunta politicizzazione della magistratura ai danni del tycoon. Tuttavia, le ragioni della battaglia ingaggiata dall’amministrazione federale contro Boasberg sembrano più profonde.
Nella veste di giudice capo della corte federale per il distretto di Columbia, Boasberg riveste una funzione chiave perché ha competenza su tutte le cause riguardanti le direttive e le iniziative delle agenzie federali che, per l’appunto, hanno sede legale nel distretto di Columbia, l’area dove si trova la capitale Washington.
Gli Stati Uniti non conoscono l’equivalente del diritto amministrativo come lo concepiamo in Europa. Di conseguenza, da un lato, mancano tribunali specifici in materia; dall’altro, sono le disposizioni delle agenzie federali a determinare e a regolamentare il perseguimento degli interessi della collettività e i rapporti tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione. La corte federale per il distretto di Columbia risulta, quindi, il tribunale di prima istanza per contestare le decisioni delle agenzie federali e, pertanto, può bloccare – sia pure temporaneamente – qualsiasi iniziativa del governo in campo amministrativo.
Le ragioni di un possibile impeachment di Boasberg
A differenza dei magistrati locali e statali, che generalmente detengono cariche elettive, tutti i giudici federali sono di nomina presidenziale. Ma, per assicurarne l’indipendenza nell’esercizio delle loro funzioni, una volta che la loro designazione è stata confermata dal Senato, non hanno limiti temporali di mandato e restano in carica a vita o fino al momento in cui autonomamente decidono di andarsene in pensione.
Trump, quindi, non può destituire Boasberg, come The Donald e Elon Musk stanno facendo da ormai due mesi con i dipendenti federali che ritengono non essere allineati con le posizioni politiche del presidente.
L’impeachment, cioè la messa in stato di accusa con la prospettiva di una rimozione, resta pertanto l’unico strumento a disposizione di Trump per liberarsi di Boasberg. E di impeachment Trump se ne intende bene, perché detiene il non invidiabile record di essere l’unico presidente degli Stati Uniti a essere stato sottoposto a questa procedura per ben due volte (nel 2020 per aver minacciato di bloccare gli aiuti militari all’Ucraina se le autorità di Kiev non avessero aperto un’indagine a carico di Hunter Biden e nel 2021 per aver fomentato l’assalto dei suoi sostenitori al Campidoglio), nonostante il Senato lo abbia alla fine scagionato in entrambe le vicende.
Nel frattempo il dipartimento di Giustizia, guidato da Pam Bondi, già membro del collegio di difesa di Trump al tempo del primo impeachment di The Donald, ha chiesto a una corte d’appello federale di sollevare Boasberg dal caso della deportazione degli immigrati venezuelani.
La messa in stato di accusa dei giudici federali
Sebbene a fare notizia e a essere ricordati siano gli impeachment a carico dei presidenti, la procedura si applica anche al caso dei giudici federali. È intrapresa dalla Camera a maggioranza semplice e comporta un processo davanti al Senato. Per la rimozione dell’imputato dalla carica è necessario il voto favorevole dei due terzi dei senatori.
La Costituzione prevede che, come nel caso del presidente, un giudice federale possa essere soggetto a impeachment per “tradimento, corruzione o altri gravi reati”, non certo per ragioni di divergenze politiche con il capo dell’esecutivo. Musk ha definito Boasberg “un giudice corrotto che protegge la corruzione” a causa di un’altra sua ordinanza, quella che ha vietato al dipartimento del Tesoro di condividere informazioni sensibili sui dipendenti federali, come l’ammontare dello stipendio, con il Department of Government Efficency (Doge), guidato proprio dal ceo di Tesla e SpaceX nonché proprietario di X (già Twitter).
Però, malgrado le esternazioni di Musk, la diatriba tra l’amministrazione Trump e Boasberg non ha niente a che vedere con la corruzione. Riguarda piuttosto il fatto che il giudice ha accusato il governo di non avere prodotto le prove per giustificare le deportazioni dei 250 immigrati irregolari venezuelani, mentre il presidente si è trincerato dietro le prerogative dell’esecutivo che gli consentirebbero di espellere a suo insindacabile giudizio individui che rappresentano un pericolo per la sicurezza nazionale.
La questione, dunque, è di natura politica. In ogni caso, come ha dichiarato John Roberts (il presidente della Corte Suprema, non certo un progressista, dato che è stato nominato da George W. Bush), nel tentativo – per il momento vano – di abbassare i toni, l’impeachment non è lo strumento per “gestire il dissenso su decisioni giudiziarie”.
Alcuni precedenti storici
In tutta la storia degli Stati Uniti, cioè in quasi due secoli e mezzo, si sono registrate appena quindici procedure di impeachment a carico di giudici federali. Solo poco più della metà, otto, si sono concluse con la condanna e la destituzione dell’incriminato da parte del Senato.
Il caso più recente si è verificato alla fine del 2010, quando a perdere lo scranno fu Thomas Porteous, nominato dal presidente democratico Bill Clinton nel 1994 come giudice del distretto orientale della Louisiana, e trovato colpevole di aver accettato denaro e altre prebende per aggiustare processi.
Una di queste vicende di corruzione giudiziaria ha avuto un esito paradossale. Alcee L. Hastings fu rimosso dalla carica di giudice per il distretto meridionale della Florida nel 1989, per avere percepito 150.000 dollari (pari oggi a oltre mezzo milione) in cambio di una sentenza favorevole a due imputati. Da quel momento, però, intraprese una brillante carriera politica. Nel 1992 fu eletto alla Camera dei Rappresentanti e fu sempre confermato al Congresso fino a quando morì in carica nel 2021.
L’unico caso di tradimento coinvolse nel 1862 West Hughes Humphreys, giudice della corte distrettuale per il Tennessee centrale, orientale e occidentale. Il magistrato fu destituito perché, dopo lo scoppio della guerra civile, nel 1861, aveva incitato la secessione del Tennessee dall’Unione e aveva continuato a esercitare le sue funzioni in seguito all’adesione di questo Stato alla Confederazione. Il Senato federale processò e condannò Humphreys in contumacia, ma la sua rimozione divenne effettiva solo con l’occupazione del Tennessee da parte delle truppe dell’Unione.
L’impeachment di un giudice per finalità politiche
Malgrado le affermazioni di Roberts, l’impeachment di un magistrato o la minaccia di messa in stato di accusa di un giudice federale per cause politiche trova alcuni precedenti storici. All’inizio dell’Ottocento, dopo l’elezione del presidente repubblicano-democratico Thomas Jefferson nel 1800, esponenti del suo partito al Congresso si attivarono per mettere in stato di accusa alcuni giudici nominati dal suo predecessore federalista, John Adams.
La loro destituzione alla fine della procedura di impeachment avrebbe creato vacanze nell’organico della magistratura federale e avrebbe fornito a Jefferson l’opportunità di nominare i loro sostituti, in maniera da allineare il sistema giudiziario con l’orientamento politico che era scaturito dal voto del 1800.
Nel 1803 il Senato rimosse John Pickering dalla carica di giudice per il distretto del New Hampshire, ritenendo che fosse colpevole di instabilità mentale e per avere dato segni di ebbrezza nel presiedere le udienze, capi di accusa alquanto labili rispetto ai cimini di “tradimento, corruzione o altri gravi reati” previsti dalla Costituzione come valide motivazioni per la destituzione di un magistrato.
Un’analoga manovra fallì, invece, l’anno successivo nel caso di Samuel Chase, un componente della Corte Suprema. I sostenitori di Jefferson non riuscirono a identificare nel comportamento del giudice atti passibili di impeachment e furono costretti a imputargli di avere criticato l’amministrazione federale nell’impartire le sue istruzioni a una giuria di Baltimore. L’accusa fu così sfacciatamente politica che il Senato assolse Chase. L’esito del procedimento mise fine al ricorso all’impeachment per modificare la composizione dei quadri giudiziari a fini di partito per oltre un secolo e mezzo.
A riprovare a ricorrere a questa tattica fu, nel 1970, l’allora rappresentante repubblicano del Michigan alla Camera Gerald Ford, destinato del 1974 a subentrare a Richard M. Nixon alla Casa Bianca. Ford provò a sbarazzarsi di William O. Douglas, un giudice iper progressista della Corte Suprema. Lo accusò di aver scritto a pagamento un articolo per una rivista il cui editore era soggetto a un’inchiesta federale per diffamazione a mezzo stampa.
Poi denunciò che Douglas presiedeva una fondazione caritativa che aveva ricevuto finanziamenti da un imprenditore sospettato di essere coinvolto in attività non del tutto lecite connesse ai casinò di Las Vegas. Nel tentativo di incastrare il magistrato, nel clima della guerra fredda, Ford ipotizzò che il Center for the Study of Democratic Institution, con cui Douglas aveva collaborato, fosse un’organizzazione filocomunista e si spinse addirittura a ventilare che una vacanza trascorsa dal giudice in Unione Sovietica non fosse altro che una copertura per nascondere i suoi rapporti con il regime di Mosca.
A chi gli obiettò che queste imputazioni erano nella migliore delle ipotesi tenui, riguardavano comunque comportamenti privati e non l’esercizio delle funzioni di giudice e non sembravano rientrare nella gamma dei crimini previsti dalla Costituzione per la rimozione di un magistrato, Ford replicò che la Camera aveva un potere illimitato nell’apertura di una procedura di impeachment e non doveva limitarsi ai casi espressamente elencati nella carta costituzionale. Le argomentazioni presentate da Ford risultarono talmente inconsistenti e dettate da ragioni politiche che solo 110 dei 435 membri della Camera aderirono alla sua proposta di mettere Douglas in stato di accusa e il tutto cadde nel niente.
Oltre il caso particolare di Boasberg
L’opposizione di Roberts al possibile impeachment di Boasberg non è legalmente rilevante né giuridicamente vincolante perché solo la Camera dei Rappresentanti è costituzionalmente competente per mettere un giudice in stato di accusa.
Il partito repubblicano al momento dispone di 218 seggi contro i 213 di quello democratico nel ramo basso del Congresso. Avrebbe, quindi, i numeri per aprire la procedura a carico di Boasberg. Al Senato, però, i seggi repubblicani sono solo 53 su 100 e, dunque, manca in partenza la maggioranza qualificata di 67 voti per ottenere una eventuale condanna anche nell’ipotesi – tutta da dimostrare – che i membri repubblicani restino compatti e non si levino voci di dissenso.
Come è stato detto a proposito di Trump da autorevoli commentatori, The Donald deve essere preso sul serio, ma non alla lettera. È poco verosimile che il tycoon intenda effettivamente procedere con l’impeachment di Boasberg per poi ritrovarsi alla fine con una plateale sconfitta al Senato.
È molto più probabile che le sue parole siano soprattutto un tentativo per intimidire politicamente non solo un magistrato che riveste un potenziale ruolo chiave di verifica sugli atti dell’amministrazione federale, ma anche e soprattutto l’intero apparato giudiziario. Con il partito repubblicano in maggioranza in entrambi i rami del Congresso, infatti, i giudici federali non nominati da Trump appaiono al momento l’ultimo baluardo della legalità.
Solo loro risultano avere gli strumenti legali per fronteggiare la crescente tentazione di The Donald di impartire una svolta autoritaria alla propria amministrazione, sottraendosi ai controlli istituzionali sull’operato del presidente previsti dalla Costituzione e limitando – se non addirittura cancellando – l’indipendenza della magistratura, che il tycoon vorrebbe subordinare all’esecutivo. Il braccio di ferro con Boasberg, pertanto, si configura come una sorta di prova generale della resa dei conti di Trump con il potere giudiziario.