Il piano resta inclinato verso l’abisso e l’umanità rimane a un passo dall’orrore, ma di fronte alle ultime, gravi novità che arrivano dal fronte ucraino, con Mosca che minaccia di usare l’arma atomica, serve un’analisi fredda perché “se i russi avessero voluto farlo in Ucraina l’avrebbero fatto, macchiandosi però di un palese delitto contro l’umanità; mentre se attaccassero nuclearmente la Nato o gli Stati Uniti, dovrebbero tener conto della possibile risposta altrettanto nucleare”. Insomma non sarebbe, per Mosca, un’azione priva di costi. “Conclusione: l’obiettivo della minaccia resta quello della dissuasione reciproca e della deterrenza”.
Il professor Stefano Silvestri, presidente emerito dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) ed esperto di affari militari, torna sulla guerra russo-ucraina a oltre mille giorni dall’invasione lanciata da Mosca e a pochi dal contrattacco ucraino verso il territorio russo con missili forniti dagli occidentali. Mossa che ha spinto Putin ad annunciare di aver cambiato la dottrina sull’uso del nucleare.
Intanto professore, definiamo il concetto di deterrenza: possiamo dire che regge ancora quella che abbiamo conosciuto durante la guerra fredda?
“A mio avviso, il concetto di deterrenza come lo abbiamo conosciuto durante la guerra fredda tiene ancora. Il discorso è che la Russia si è impegnata militarmente in un’operazione che non riesce a concludere con le armi convenzionali, e quindi cerca disperatamente o di intimidire gli alleati dell’Ucraina o di preparare il terreno per una sua escalation che le permetta di vincere questa guerra che non riesce a vincere perché è troppo debole”.
Qualche cosa però deve essere cambiata dopo il decreto di Putin o no?
“Si, alcuni mutamenti ci sono. Nella precedente dottrina nucleare, si parlava della possibilità dell’uso dell’arma nucleare da parte della Russia se era in pericolo la sopravvivenza dello Stato, quale che fosse il tipo di attacco. Nella dottrina aggiornata, invece, si parla di minaccia alla sovranità russa. La sovranità è chiaramente un concetto meno preciso, più soggetto a interpretazioni, rispetto a quello di sopravvivenza dello Stato. Cosa si intende? Tutta la sovranità? Quella parziale? C’è un grado di vaghezza preoccupante in questo concetto. A questa prima novità, se ne aggiunge un’altra, del tutto nuova perché finora la Russia aveva combattuto il principio, applicato dagli americani, di extended deterrence (deterrenza allargata). Nella dottrina americana, la deterrenza copre anche gli alleati della Nato o altri alleati, come il Giappone. Ora la Russia ha applicato questo stesso principio ai suoi alleati. Questo vale sicuramente per la Bielorussia, ma potrebbe anche applicarsi ad altri Paesi, perché Mosca già ha degli accordi di difesa nell’ex spazio sovietico, ad esempio con le repubbliche centroasiatiche. Se poi la copertura venisse estesa anche ad altri Paesi, potrebbe creare grossi problemi. Immaginiamo per esempio che Mosca decidesse di applicarla alla Corea del Nord…”.
Qual è lo scopo di questo cambiamento di dottrina?
“Questa posizione russa tende a far dimenticare l’escalation che Mosca ha imposto non solo accrescendo i bombardamenti contro i civili in Ucraina, ma anche portando al fronte le truppe nordcoreane. È un tentativo di rovesciare ogni responsabilità di possibile escalation sull’Occidente, ma anche un tipo di minaccia che Putin sta facendo sin dall’inizio del conflitto. Detto ciò, è comunque significativo che sia stato messo nero su bianco in una nuova dottrina nucleare, in linea con un certo formalismo legalistico tipico dei russi. In ogni caso, si tratta di un abbassamento della soglia nucleare”.
Viviamo da sempre sotto la minaccia nucleare: perché ora sembra più pericoloso?
“La minaccia nucleare c’è sempre stata, è vero. Il punto è che durante la Guerra Fredda, da Cuba in poi, si era elaborata una serie di meccanismi di dialogo con l’obiettivo di evitare situazioni di incomprensione per la vaghezza dei documenti. Ciò che permetteva di sapere quali erano le linee rosse reali, non quelle retoriche o interpretabili. Purtroppo in questi anni, dopo la fine della Guerra Fredda molti di questi meccanismi non sono più in funzione. Ne è rimasto uno solo, ma è semi-paralizzato: lo Start, che riguarda le armi strategiche. Mentre i paracaduti diplomatici e di dialogo sono in crisi. Sarebbe il caso di ripristinarli con urgenza, quali che siano le posizioni dei singoli Stati. Perché prima di tutto dovrebbe venire l’esigenza assoluta di capirsi”.
Perché gli americani non hanno rivisto la loro dottrina una volta che lo hanno fatto i Russi?
“Gli americani non hanno nessun bisogno di rivedere la loro dottrina. Il problema per loro è capire che cosa pensano i russi. Non ho visto neanche, nei testi che ho letto, distinzioni tra le armi russe nucleari strategiche e le nucleari tattiche”.
Che differenza c’è?
“ La differenza è che le armi strategiche sono quelle a più lungo raggio, mentre le armi tattiche sono quelle del campo di battaglia, che però per quel che riguarda la Nato in Europa possono avere una valenza strategica: se mi buttano una bomba nucleare tattica su Berlino o su Milano, la differenza tra il tattico e lo strategico, per noi, non c’è. Le armi nucleari tattiche sono molto potenti, possono arrivare addirittura a 200 chilotoni, 20 volte Nagasaki. Non è chiaro neanche il ruolo strategico o meno dell’arsenale missilistico e aereo convenzionale russo che potrebbe attaccare la Nato. Sono tutti punti interrogativi”.
Trump potrebbe cambiare tutto nell’approccio alla guerra?
“ Io penso che l’approccio della nuova amministrazione USA alla guerra in Ucraina dovrà avere una qualche gradualità. Trump non può neanche passare per uno che cede su tutta la linea. Per riuscire a fare un accordo con il nuovo presidente americano Putin dovrà essere capace di offrire qualcosa, e non soltanto di esigere. Vedremo”.
Veniamo alla reazione di Kiev. Intanto il presidente Zelensky ha definito la guerra dei russi una guerra psicologica, lei che ne pensa?
“È probabile che sia così. Putin vuole prendersi l’Ucraina, come Paese satellite o dominato direttamente. In questa fase, da un punto di vista militare, mi sarei aspettato – più che gli attacchi a Kiev – una maggiore spinta sulla direttrice di Odessa, data la sua importanza strategica per la Russia. Il fatto che questo non stia accadendo, mentre aumentano gli attacchi volti a terrorizzare la popolazione in vari modi, suggerisce che la Russia non sia poi così forte”.
Zelensky ha anche detto, durante un’intervista alla tv americana Fox News, che “non possiamo perdere decine di migliaia di uomini per la Crimea”. Avanzando l’ipotesi che la penisola possa essere ripresa attraverso la diplomazia e non le armi. Come considera le sue parole?
“È possibile che il presidente ucraino cerchi di predeterminare le possibili concessioni che l’Ucraina potrebbe accettare con minore sofferenza. Sarebbe del tutto logico”.
Come legge la decisione di Putin di tagliare gli indennizzi ai feriti in Ucraina di due terzi? Fino a poco tempo fa ciascuno di loro aveva diritto a tre milioni di rubli (28 mila euro), ora quella cifra spetta solo ai casi più gravi. Gli altri soldati riceveranno un milione di rubli, meno di diecimila euro. E’ il segno di una crisi economica grave nel Paese?
“Possibile. Anche se un’economia di guerra può andare avanti per molto tempo, la Russia non è un impero dalle risorse sterminate. È un regime che dipende dal petrolio e dalla sua capacità di continuare a produrre armi con l’inflazione al 9%, tassi d’interesse ufficiali a un astronomico 21% , con una manodopera sempre più scarsa e investimenti in frenata. E che qualcosa stia cambiando non lo dicono più gli osservatori occidentali. Lo dice la Banca di Russia, che per l’anno prossimo prevede una crescita rivista al ribasso fra 0,5% e 1,5%. Il segreto finora era stato il petrolio, con entrate equivalenti a circa 190 miliardi di dollari solo nel 2024. Ma da aprile il prezzo del greggio russo è caduto del 22%, fino quasi a 60 dollari al barile: sotto quella soglia si stima che l’attuale sforzo bellico sia, alla lunga, finanziariamente insostenibile per il Cremlino.”
Tutto questo quadro può lasciare pensare che siamo alla fine del conflitto?
“Io lo chiamerei stallo. Che politicamente Putin non può reggere. Il presidente russo deve cercare di chiudere questo conflitto per la sua stessa sopravvivenza. Possibilmente con una vittoria o comunque con una specie di successo”.
Fin dove può spingere a cedere senza avere problemi interni?
“Io credo che abbia un forte controllo interno, può permettersi quasi tutto. Anche se è sempre difficile leggere da fuori la consistenza di un regime dittatoriale. Di sicuro si è esposto a tal punto con questo attacco all’Ucraina che deve cercare una seria giustificazione se molla. La questione è che può anche finire che si tiene i territori occupati e la Crimea, con un armistizio e non un trattato di pace, quindi non con un riconoscimento ufficiale, ma non è questo che vuole. O meglio non è solo questo questo. Putin vuole controllare politicamente anche il resto dell’Ucraina. E questo è un confine che mi sembra difficile possa essere abbandonato da parte occidentale”.
Dal punto di vista geopolitico dove ci condurranno questi avvenimenti? Che Europa sarà disegnata?
“La più clamorosa e poco saggia conclusione del conflitto sarà l’esclusione della Russia dall’Europa. Poco saggia, ma direi inevitabile dopo l’invasione. Con la conseguenza che Mosca finirà nelle braccia della Cina. Si cristallizzano così le nuove alleanze: da una parte gli Usa e gli occidentali; dall’altra Pechino e i suoi. Si poteva fare altrimenti? L’esercizio resta teorico e rimane nel campo delle analisi storiche, rimontando alle conseguenze del crollo sovietico e alle opposte letture che nei due campi fu fatto di quell’avvenimento imponente. Entrambi gli attori sembrano aver giocato un ruolo scritto: l’Occidente non potendo fermare le legittime ambizioni dei Paesi ex sovietici di tornare in Europa e di entrare nella Nato; Mosca, una volta risultata vana l’idea di raggiungere essa stessa gli europei, di rinchiudersi nell’incubo dell’accerchiamento e della paura. Si poteva fare qualcosa? Sì, perché la geopolitica cammina sulle gambe degli uomini. Il tempo del compromesso c’è stato, parlo di dieci anni fa, quando si produssero gli avvenimenti di piazza Maidan, forse era ancora possibile considerare l’Ucraina zona cuscinetto nel cuore dell’Europa. Invece, ciascuno dei campi cercò di strapparla all’altro fino a raggiungere l’inevitabile. Tutto questo non vuole giustificare niente, tantomeno una guerra. Solo per ricordare che quando gli eserciti si mettono in moto diventa tutto più difficile e tragico. Ora certo è tardi per rivangare il passato, quel che è fatto è fatto. Si può però evitare di provocare altri danni tornando a usare l’arte della Politica, unica strada per fermare la corsa su quel piano inclinato che non può che portare al disastro”.