Cresciuti in un’epoca di elevata incertezza economica, gli individui nati tra il 1980 e il 2000 sono spesso identificati come persone che non riescono a trovare un lavoro significativo, un po’ per voglia un po’ per mancanza di opportunità, e sempre alle prese con i digital device. Sono individui che sono stati fino a oggi in qualche modo ignorati dall’industria finanziaria che crede non abbiano patrimoni da investire né siano interessati a costruirsene uno. La nostra indagine ha intervistato oltre 2.400 individui con un salario annuo medio compreso tra i 50.000 e i 150.000 dollari e quello che è emerso è completamente diverso da quanto si pensa e l’industria del risparmio gestito deve imparare a conoscere questa nuova tipologia di investitori, che ha caratteristiche ben precise.
Prima di tutto, i Millennials hanno ben chiari in mente i loro obiettivi di investimento – lo dichiara oltre il 60% degli intervistati – e per raggiungerli già partecipano a piani finanziari. Ma se da un lato, essendo relativamente giovani, hanno orizzonti di investimento non superiori ai cinque anni (nel 64% dei casi), probabilmente perché si trovano in quella fase della vita dove eventi importanti (l’acquisto di una casa o la costruzione di una famiglia) potrebbero essere dietro l’angolo e vi potrebbe dunque essere la necessità di avere il proprio patrimonio a disposizione in breve tempo, dall’altro hanno ben presente le necessità di lungo termine e hanno iniziato a risparmiare per la propria pensione. Nati e cresciuti, infatti, in un periodo di elevata incertezza economica, con redditi potenzialmente inferiori rispetto a quelli dei propri genitori, i Millennials hanno la necessità di far quadrare i conti tra quello che possono risparmiare per la pensione e i bisogni di breve termine.
Per questo motivo, oltre la metà di loro assume un comportamento molto più conservativo e da una preferenza per la preservazione del patrimonio rispetto a una ricerca di performance più elevate. Anche perché, guardando alla pensione, la stragrande maggioranza dei Millenials è ben consapevole di quanto questa sia un concetto astratto e del fatto che non potrà certo contare su un aiuto pubblico dopo la fine della vita lavorativa.Questo è sicuramente uno dei fattori più rilevanti che incide nella decisione di aderire o meno a piani pensionistici. Tuttavia, circa il 60% ritiene che un reddito aggiuntivo per la propria pensione arriverà anche da una eventuale eredità, mentre il 51% pensa che saranno i figli a contribuire e ad aiutarli. Come si diceva inizialmente, lo stereotipo delinea i Millenials interconessi più online che attraverso rapporti interpersonali.
Quando però si parla di finanza e di decisioni di investimento, il profilo cambia decisamente. L’86% degli individui intervistati nel corso della nostra indagine, afferma di fidarsi dei consulenti finanziari tanto quando si fiderebbe di sé stesso, una percentuale decisamente più elevata rispetto al 39% che si affida unicamente ai social network per le questioni finanziari. Questo significa che nell’ambito degli investimenti, anche i Millenial preferiscono essere consigliati da una persona in carne e ossa piuttosto che da un dispositivo digitale. Sono relativamente pochi i paesi a livello globale – principalmente Canada, Cina e Giappone – dove i Millenials si affidano più alla tecnologia.
E la tipologia di investimenti? In questo ambito c’è un po’ di confusione tra le preferenze emerse in termini di strategia e i valori etici che vorrebbero fossero espressi dai loro investimenti. Dall’indagine emerge, infatti, una preferenza per gli investimenti passivi: scelti dal 68% dei Millenials perché ritenuti in grado di offrire maggiori ritorni, dal 60% perché relativamente economici da un punto di vista dei costi e dal 65% perché considerati meno rischiosi, riteniamo però vi siano numerosi i malintesi su cosa questi possono e non possono fare. Gli investimenti passivi, infatti, possono offrire ritorni elevati rispetto al benchmark quando i mercati vanno bene, ma offrono anche perdite comparabili quando i mercati vanno giù. Inoltre, vanno contro quello in cui i Millenials credono.
Il 62% degli intervistati afferma che gli investimenti passivi sono in grado di offrire accesso alle migliori opportunità presenti sul mercato, ma questo contrasta con il 58% che riconosce che i fondi passivi, che detengono tutte le società presenti all’interno di un indice, includono anche quelle aziende che potrebbero non essere compatibili con i loro valori personali. Per i Millenials è, infatti, importante che il loro patrimonio venga investito in strumenti in grado di fare del bene a livello sociale e quindi investire in Società che aderiscano a solidi principi e standard etici, ovvero ad esempio, che agiscano in modo etico, abbiano un impatto sociale positivo.
Dunque, i Millenials non sono i ragazzini che tutti credono, sono investitori molto più consapevoli di quanto tutti continuano a pensare. Ma come tutte le generazioni precedenti, hanno necessità di essere aiutati e guidati a raggiungere i loro obiettivi di lungo termine, soprattutto considerando il complesso scenario attuale che ci troviamo a navigare. È, quindi, necessario che l’industria del risparmio gestito inizi a considerarli come tali, li aiuti a risolvere i fraintendimenti in tema di investimenti e ad accrescere la loro cultura finanziaria.