Curata da Silvia Cirelli, la mostra rappresenta un’importante occasione per esplorare il percorso artistico di questo talentuoso e poliedrico interprete, raccogliendo una selezione di opere mai esposte in Italia.
Già apprezzato nel panorama artistico internazionale, Jalal Sepehr negli ultimi anni ha saputo distinguersi con una personalissima impronta espressiva, capace di catturare le ambivalenze e le complessità del tessuto sociale iraniano, e soprattutto mostrandone le multiformi contraddizioni. Perennemente in bilico fra ricerca di modernità e bisogno di salvaguardia della tradizione, l’Iran rimane uno dei paesi mediorientali di maggior fascino, e la sua articolata e composita struttura socio-culturale, paradossalmente si contraddistingue per una vivacità creativa fra le più straordinarie del panorama contemporaneo.
Dopo varie mostre in più paesi d’Europa, Jalal Sepehr arriva finalmente in Italia con As far as the eye can see, un progetto espositivo che ripercorre la sintesi poetica degli ultimi dieci anni di questo eclettico artista, concentrandosi soprattutto su quelle serie fotografiche e su quelle modalità stilistiche che più significativamente hanno segnato la sua unicità lessicale, come ad esempio l’utilizzo del tappeto persiano come tratto distintivo.
L’esposizione si apre con la recente serie Red Zone (2015), un progetto d’intensità quasi lacerante, che svela la dimensione intima di un popolo – non specificatamente iraniano, ma mediorientale in generale – costretto a vivere in una quotidianità in allarme, in una red zoneper l’appunto, dove la minaccia e il pericolo sono i soli e fedeli compagni di viaggio. Su di un lungo camminamento, fatto di splendidi tappeti persiani, ora un enorme masso caduto dal cielo, ora una violenta tempesta di sabbia, o un aereo che ha appena preso il volo, sembrano puntualmente ostacolare il passaggio, rendendo difficile una qualsiasi via di fuga.
Il tappeto torna come elemento centrale anche nell’ambientazione surreale di Water and Persian Rugs, del 2004, diventando invece un ponte immaginario fra passato e presente, una magnetica superficie scivolosa che si è obbligati ad attraversare, se si vuole davvero essere protagonisti del proprio tempo, senza aver troppa paura dell’inaspettato. Seguono poi la suggestiva serie Knot del 2011 e l’operaGirl and the Mirror del 2010, realizzate entrambe tra le mura e le caratteristiche cupole di argilla della splendida antica città di Yazd, nell’Iran centrale. Chiude infine la mostra, l’ultimo progetto fotografico di Sepehr, Color As Gray (2014-2016), che con elegante fragilità s’interroga sulla drammatica realtà della guerra, ormai elemento quotidiano in molti paesi mediorientali. Una triste testimonianza di quanto le ferite di questi conflitti non riescano mai a cicatrizzarsi.
Jalal Sepehr è nato a Teheran (Iran) nel 1968, dove attualmente vive e lavora. Ha iniziato a fotografare nel 1995, imparando da autodidatta. Dopo un’esperienza di tre anni in Giappone, Sepehr torna in Iran, dove fonda il sito Fanoos Photo insieme al fotografo Dariush Kiani. Al suo attivo ha numerose partecipazioni in mostre e Festival internazionali, come Pulso Iraniano al Oi Futuro di Rio de Janeiro (2011); il PX3 Festival (Francia), il Peking Art Photography Festival (China), l’Australian Photography Festival di Sydney (2014) o l’International Photo Festival in Belgio (2009).