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Milano è diventata la “capitale morale” d’Italia e il nuovo sindaco va scelto in questa dimensione

Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità anticorruzione, nel ricevere dalle mani del sindaco Pisapia il “sigillo” della città, ha reciprocato restituendo a Milano il titolo di “capitale morale” d’Italia, con riferimento ad Expo, alla correttezza amministrativa ed allo spirito di collaborazione tra le istituzioni. Tutte cose molto importanti ma che da sole non giustificherebbero affatto il recupero di un simile titolo se non fosse per la disastrosa situazione di Roma.

Il mito della “capitale morale”, infatti, – per inciso, “l’unico mito ideologico serio, non retoricamente fittizio, della borghesia italiana”, secondo Vittorio Spinazzola – non si riferiva affatto alla mera correttezza amministrativa, data per scontata, ma ad un più generale orgoglio municipalistico della comunità ambrosiana, fatto di buon governo, ovviamente, ma soprattutto di etica del lavoro e di intraprendenza dell’individualismo borghese. Valori, questi, testimoniati dalla grande Esposizione Universale del 1881, con la quale Milano si era presentata come centro propulsore della nascente industria italiana e con la quale, secondo gli storici, nacque appunto il mito della “capitale morale”. Mito destinato ad infrangersi, poi, non contro gli scogli di “tangentopoli”, ma assai prima, contro le politiche repressive e protezionistiche dei governi italiani di fine secolo.

Ad ogni modo, vale sicuramente di riprendere il tema, se non altro per sottolineare l’importanza politica della scelta del nuovo sindaco di Milano, partendo appunto da Expo che, in un certo senso, ha funzionato come l’Esposizione Universale del 1881. Come allora, infatti, questa grande “Fiera”, nel nobile senso che questa parola ha, da sempre, a Milano, ha consentito alla città di prendere coscienza di sé, di ciò che è e può diventare, di come vede il mondo e di come è vista dal resto del mondo, di ciò che sa fare e di qual è il suo ruolo in Italia e nell’economia globalizzata. In una parola, l’ha aiutata a prendere coscienza della sua nuova realtà metropolitana e di capitale italiana dell’economia della cultura.

Milano, si sa, ha conosciuto anche in passato profonde trasformazioni. Dal ’45 al ’60 c’è stata la “ricostruzione”, che l’ha vista riconfermare il suo ruolo di capitale industriale ed economica del paese. Poi c’è stata la grande “ristrutturazione” produttiva degli anni ’70-’80, che ne ha fatto la capitale dei servizi e del terziario avanzato. Infine c’è stata quest’ultima trasformazione, iniziata negli anni ’90 e tuttora in corso, che ne sta facendo una delle capitali globali della conoscenza. Qualcosa di più di una semplice trasformazione, dunque, ma una vera e propria metamorfosi, resa possibile anche dalla dimensione metropolitana. Nel caso dei lavoratori della conoscenza, infatti, come sottolinea Giuseppe Berta nel suo “La via del Nord”, la vera struttura d’impresa è costituita appunto dalla forma metropolitana. E’ la città il loro bacino di riferimento professionale. E’ la città a fungere da motore dello sviluppo. E’ nel “crogiuolo metropolitano”, specie se innervato di reti e dotazioni tecnologiche adeguate, che le occasioni si generalizzano e si diffondono con efficacia ineguagliabile da parte di qualsiasi organizzazione d’impresa.

Ciò pone due problemi molto importanti alla politica milanese, intesa come logica di governo e non, semplicemente, come “corretta” amministrazione, che ne è soltanto il presupposto. Il primo è quello di garantire a tutti gli abitanti dell’area metropolitana quello che Saskia Sassen chiama il “diritto alla città”, ossia l’estensione e l’intensificazione su tutta l’area metropolitana di quella “qualità urbana” che è uno dei fattori fondamentali di sviluppo dell’economia contemporanea. Qualità fatta di connessioni rapide, servizi efficienti ed accessibili, un ambiente pulito, ordine urbanistico, bellezza architettonica, socievolezza, cultura e lavoro. Il secondo è quello di immaginare e costruire nei prossimi anni, con duttilità e spirito pratico, un sistema di governo adatto a questa realtà, che rompa con la logica verticistica e chiusa del nostro sistema amministrativo, per gettare le basi di un sistema pluralista, in cui la dimensione rappresentativa sia meno rilevante rispetto a quella di risolvere i problemi ed in cui la collaborazione tra soggetti di varia natura occupi un posto preponderante.

Se Milano vuole meritarsi davvero il titolo di “capitale morale” d’Italia, nel senso originario del termine, è di questo che si deve occupare e la figura del nuovo sindaco è a questo livello che deve emergere. Il resto sono solo scorciatoie illusorie.

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